Oscar: la notte più stellata di Hollywood e del cinema

Oscar

L’impatto sociale e culturale della cerimonia degli Oscar 

Quali sono le origini dell’evento culturale e cinematografico che catalizza su di sé l’attenzione globale tra marzo e aprile? Come sono mutati gli Oscar dagli albori? Perché negli ultimi anni hanno fatto tanto chiacchierare di sé? Quali sono le questioni di maggiore importanza sollevate nelle ultime edizioni della premiazione?

Nel seguente articolo ci addentreremo nella storia e nel cuore della cerimonia degli Oscar. Un evento tanto amato e odiato insieme, dai cinefili, così come da chi va al cinema per il puro gusto di trascorrere una serata in compagnia.

Cenni storici e origine del nome “Oscar”  

L’Academy Award, conosciuto come “Premio Oscar”, è il premio cinematografico più prestigioso e antico esistente. Assegnato per la prima volta il 16 maggio 1929, si è affermato tre anni prima della nascita del Festival di Venezia. 

I premi vengono conferiti dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS), un’organizzazione professionale onoraria costituita da personalità di spicco nel mondo del cinema, quali attori, registi, produttori. Nel 2007 contava circa 6 000 membri votanti.

Tuttavia, le origini del nomignolo Oscar non sono chiare. Esistono più versioni a riguardo. Secondo una molto diffusa ma mai confermata, le statuette hanno iniziato a chiamarsi così grazie a Margaret Herrick, direttrice dell’Academy negli anni Trenta. Quando vide la statuetta, difatti, Margaret disse che assomigliava a suo zio Oscar. 

C’è anche un’altra versione, secondo cui il nome nacque grazie all’attrice Bette Davis, che, vedendo la statuetta, disse che assomigliava al suo primo marito: Harmon Oscar Nelson. 

Non si sa con certezza come o quando il nome Oscar si sia diffuso, ma si sa che già dal 1934 i giornalisti di cinema iniziarono a diffonderlo. L’Academy spiega che il primo a scrivere la parola “Oscar” in un articolo sugli Academy Award of Merit, fu il giornalista Sidney Skolsky nel 1934. Non a caso, si può ancora leggere su Time un articolo del 26 marzo 1934 che inizia così: «Nell’industria del cinema le piccole statuette dorate che vengono consegnate ogni anno dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences vengono chiamate “Oscars”». Eppure, l’Academy iniziò a adottarlo ufficialmente solo dal 1939.

La questione razziale: #OscarSoWhite 

Gli Oscar del 2016 verranno sempre ricordati per la polemica riguardante la non presenza di attori di colore in tutte le categorie più importanti. 

L’hashtag #OscarSoWhite, difatti, si riferisce alla mancanza di nomination di rilievo a personalità di colore dell’industria cinematografica americana, agli Oscar del 2016. Quell’anno infatti, accadde che il 95.3% dei candidati fosse bianco, così come tutti i candidati alle categorie più importanti (i cinque registi e i 20 attori/attrici). 

La polemica divampò di giorno in giorno: sia la stampa, sia i candidati presidenziali ne parlarono ampiamente, schierandosi ed esprimendo la loro opinione, alcuni decidendo anche di boicottare gli Oscar. Per molti, il fatto che tra numerosi validi film profondamente black, l’Academy fosse riuscita ad apprezzare solo il contributo di persone bianche, venne visto come un sintomo di sostanziale razzismo. Tuttavia, l’opinione più comune e razionale riguardo la faccenda fu molto più banale e meno maliziosa: probabilmente, gran parte dei membri dell’Academy non vide dei film determinanti alla scelta (e casualmente con un cast black), e molti di loro votarono comunque gli attori cult già pluripremiati e dal nome noto. Eppure, l’impressione superficiale che tale “dimenticanza” generò non fu affatto delle migliori. 

Il quesito, ancora oggi, resta: si trattò di discriminazione o semplicemente alcuni film furono molto più “premiabili”, e a farne le spese sono stati i singoli interpreti? La dirigenza dell’Academy forse non sapeva cosa avrebbe provocato, eppure nel 2015 si era presentata una situazione similare, dunque avrebbe potuto prevederlo. In conclusione, per l’Academy la mancanza di diversità divenne un problema, e non solo perché fu cattiva pubblicità e alcuni divi gridarono al boicottaggio, ma perché un’istituzione come l’Oscar dimostrò di essere retrograda. Specialmente dinnanzi all’evidente prova che l’industria hollywoodiana stesse provando a cambiare le cose. 

La riforma per l’inclusione agli Oscar 

Gli Oscar devono rappresentare il cinema americano agli occhi del mondo. Per tale motivo l’Academy deve seguire lo stesso processo di cambiamento che stanno tentando gli Studios, assicurandosi che ci sia sempre un candidato che rappresenti le varie minoranze. Tuttavia, per molti, questa ossessiva ricerca del politically correct risulta indigesta. Eppure, è innegabile l’effettivo contributo che l’inclusione delle minoranze possa dare al mondo della cultura e dello spettacolo. 

Fu proprio grazie a tale polemica che l’Academy decise di apportare sostanziali cambiamenti in grado di garantire la necessaria diversità. Difatti, nel 2020 l’associazione ha annunciato una vera e propria riforma del meccanismo di selezione dei film. Un cambiamento che promuove l’equa rappresentazione sullo schermo in termini di identità di genere, orientamento sessuale, etnia e disabilità. Tale riforma verrà applicata a partire dalla novantaseiesima edizione degli Academy Awards.

Ogni standard da rispettare ha una serie di sottocategorie: per soddisfare le esigenze di rappresentazione davanti alla macchina da presa, per esempio, un film deve avere almeno un protagonista o un non-protagonista (o il 30% dei ruoli secondari) interpretati da un gruppo etnico sottorappresentato; oppure la storia, il tema o la narrativa principale devono essere focalizzati su un gruppo sottorappresentato.

Per quanto concerne la categoria incentrata sull’aspetto creativo e sulla realizzazione di un film, invece: una produzione deve avere almeno due capireparto appartenenti a un gruppo sottorappresentato, e almeno uno deve appartenere a un gruppo etnico sottorappresentato, oppure almeno sei membri della troupe (o il 30%) devono appartenere a gruppi etnici sottorappresentati.

La terza categoria è incentrata sugli stage pagati o gli apprendistati, mentre la quarta categoria è incentrata su chi lavora nel marketing, nella promozione o nella distribuzione del film.

Riflessioni sulle ultime edizioni

Sicuramente negli ultimi anni gli scandali non sono mancati, motivo per cui la cerimonia degli Oscar ha fatto parlare molto di sé. Necessario precisare che, a causa della pandemia e del divieto di assembramenti, le edizioni del 2020 e del 2021 sono state notevolmente penalizzate, anche per quanto riguarda gli ascolti. 

Ma in molti devoti seguaci e neofiti stanno tenendo alto il livello di interesse per la premiazione più famosa e amata al mondo: un fenomeno degli ultimi tempi, ad esempio, riguarda il carpire i numerosi meme, trend e mode, che finiscono poi per popolare il web per i mesi seguenti. Uno di questi è certamente il noto schiaffo di Will Smith a Chris Rock alla cerimonia dello scorso anno; allo stesso livello dello “sbaglio” nella proclamazione del vincitore al premio Miglior film del 2017, in cui “La La land” è stato premiato per pochi secondi, al posto di “Moonlight”. 

Eppure, gli Oscar dell’anno corrente non hanno generato nessuno scandalo, sembra. Di contro, l’evento che ha colpito maggiormente nella premiazione di quest’anno, tenutasi lo scorso 12 marzo, è l’ingente quantità di premi assegnati ad un unico film tra i candidati: “Everything Everywhere All at Once”, vincitore del premio Miglior film, ha vinto sette statuette, su undici candidature. Solitamente l’Academy punta a dare un giusto riconoscimento ad ognuno, o alla maggior parte, dei film candidati; mentre in questa novantacinquesima edizione pare che un solo film si sia guadagnato un ammasso di statuette, mentre altri validissimi sfidanti siano tornati a casa a bocca asciutta. Che sia una tendenza che dobbiamo aspettarci di trovare anche nelle prossime edizioni, d’ora in avanti? 

Alice Gaglio per Questione Civile 

Sitografia

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