Skinamarink e le paure primordiali

Skinamarink

Skinamarink, l’horror che scava nei meandri dei terrori infantili

Il canadese Kyle Edward Ball debutta alla regia con Skinamarink, un film horror che usa la tecnica ricercata del found footage per suscitare nello spettatore tremende paure sepolte nei ricordi d’infanzia.

La fobia degli spazi liminali in Skinamarink

Kyle Edward Ball, il regista di Skinamarink (2022), ha compiuto una scelta arguta per ogni regista di film horror: indagare tra le fobie appartenenti a quella sfera dell’infanzia sepolta e nascosta. Una delle più comuni è la paura degli spazi liminali. Ma cosa sono gli spazi liminali? “Liminale” sta per “liminalità”, ossia quello senso di ambiguità o disorientamento che si prova durante uno stato di transizione tra una fase e l’altra della vita.

Gli spazi liminali in antropologia

Lo spazio liminale è un luogo di transizione, attesa e non conoscenza, in cui inizia e si conclude la trasformazione, se impariamo ad attendere e lasciamo che ci formi. Il concetto di liminalità fu sviluppato dall’antropologo Arnold Van Gennep nei suoi studi sui riti di passaggio, in relazione ai mutamenti che viviamo all’interno del sistema sociale di appartenenza e di cui quest’ultimo è testimone.

Van Gennep suddivide i riti in tre fasi: la fase della separazione (come la morte o la fine dell’infanzia), la fase liminale (come il lutto o la gravidanza) e la fase dell’aggregazione, in cui si ristabilisce un nuovo equilibrio dato da nuove condizioni (la nascita di un figlio).

Nella teoria dei riti di passaggio la fase liminale è la più importante e complessa, poiché è il momento in cui ci si trova nello spazio di passaggio: si abbandona la precedente condizione di certezza, ma non si è ancora attraversata la soglia. Ma la liminalità non riguarda solo concetti antropologici, bensì coinvolge anche la dimensione spaziale e fisica, ed è proprio in questa direzione che si muove Skinamarink. Nel film, in particolare, gli spazi liminali sono rappresentati dalle scale e dai corridoi vuoti della casa notturna, da cui, improvvisamente, svaniscono tutte le porte e le finestre.

Gli spazi liminali in psicologia

Eppure, un luogo liminale può essere anche virtuale. Negli ultimi anni si è sviluppato il concetto di “liminal space”, quello spazio virtuale che diventa un “non luogo”, in cui l’utente compie un’esperienza liminale: attraversa lunghi corridoi, stanze e luoghi vuoti e desolati, che provocano in lui un forte senso di smarrimento, solitudine e attacchi d’ansia.

Nel 2022 due psicologi dell’Università di Cardiff hanno studiato il fenomeno degli spazi liminali, giungendo alla conclusione che ciò che proviamo dipende dall’Uncanny Valley, la stessa sensazione che si prova quando si osserva un robot o scenari similari. I ricercatori dell’Università di Cardiff affermano che l’Uncanny Valley può essere osservato anche negli ambienti artificiali.

A sostegno di ciò, è stato condotto un esperimento che vede protagonisti degli studenti ai quali sono state fatte guardare cento immagini molto simili, tutte con mancanza di caratteri, illuminazione, occlusione, ripetizione delle caratteristiche e dimensioni inusuali. Di fronte a ciò, “le cavie” hanno provato un senso di inquietudine dovuto all’alternarsi di schemi familiari ed elementi sconosciuti, come l’illuminazione “spenta”, l’assenza di persone in un spazio pubblico e proporzioni irreali.

La tecnica del found footage in Skinamarink

Il termine “found footage”, tradotto “video ritrovato”, è una tecnica registica di cui si sente parlare poco, definita come un sottogenere cinematografico dei mockumentary. I mockumentary sono i più conosciuti “falsi documentari”, falsi perché vengono creati eventi fittizi a scopo narrativo. È un genere ampiamente sfruttato dagli autori e ultimamente sta avendo un particolare successo applicato al genere horror, come nel caso di Skinamarink.

Il fattore di interesse che attira lo spettatore fa credere che una storia spaventosa siareale, e per di più che quello a cui si sta assistendo non sia una ricostruzione del reale, bensì l’effettivo svolgersi di quei fatti.

Con il found footage tutto, o parte del film, è presentato come si trattasse di un filmato appena

scoperto, una videoregistrazione amatoriale lasciata da protagonisti scomparsi o deceduti.

Sono molti i film realizzati utilizzando questa tecnica: The Blair Witch Project è uno dei primi esempi di found footage, risalente al 1999. Tra i più recenti troviamo Rec, Cloverfield,

Paranormal Activity, ESP e Ratter. Quest’ultimo si differenzia dagli altri in quanto è come se utilizzasse una tecnica di ripresa found footage 2.0: l’evoluzione della tecnologia ha portato ad

una evoluzione della tecnica registica.

Cosa fa di Skinamarink un horror psicologico agghiacciante

Oltre al restante degli aspetti, anche il modo in cui il regista ha gestito il tempo a disposizione nella pellicola ha contribuito a rendere l’opera apprezzata, regalandogli una certa fama. Il film parte in modo molto lento, per far abituare lo spettatore al tipo di pellicola che andrà a vedere, e per creare una suspence che raggiunge livelli mostruosi. Solo nella seconda metà dell’opera iniziano ad accadere eventi davvero strani: i genitori dei due bambini protagonisti non rispondono, le porte e le finestre della casa spariscono, il mobilio cambia posizione apparendo al contrario o sul soffitto, e molto altro.

Un altro dettaglio geniale e degno di nota sta nel sapiente uso orrorifico dei cartoni animati anni ’90 alla tv. Il film è infatti ambientato nel 1995, dunque, per tutta la pellicola, il sottofondo dei cartoni animati accesi sarà la colonna sonora portante.

Inizialmente ascoltare il familiare borbottio degli strani e stereotipati personaggi dei cartoni è l’unico appiglio rassicurante in un’atmosfera che si fa via via più conturbante. Poi, però, anche i cartoni iniziano a diventare un elemento “distorto” e sbagliato, improvvisamente “corrotto”; dunque, lo spettatore perde ogni appiglio di conforto. Una delle caratteristiche più note dei cartoni per bambini degli anni 90’, difatti, è la lieve nota inquietante, a tratti vagamente satanica, che li accomuna.

La terza parte del film è tremendamente perturbante, in ogni aspetto: le frasi abbozzate dei bambini, il comportamento strano dei genitori, l’entità infestante che costringe ogni persona e persino oggetto ad agire contro la propria volontà, gli schizzi di sangue sui muri bui. Tutto, in Skinamarink, è gloriosamente agghiacciante. Addirittura la famosa canzoncina che dà nome alla pellicola presenta un testo che, se associato al film, perde qualsiasi nota giocosa e diviene una minaccia, una condanna a morte. 

Alice Gaglio per Questione Civile

Sitografia

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