HIV, il virus dell’immunodeficienza umana

HIV

L’infezione da HIV e la sindrome da immunodeficienza acquisita

Il virus HIV è l’agente virale responsabile della ben nota sindrome dell’immunodeficienza acquisita (AIDS). L’AIDS appartiene alla classe delle immunodeficienze secondarie, ossia patologie in cui il sistema immunitario risulta deficitario in seguito a un’agente virale, una neoplasia o per una causa iatrogena. La sindrome dell’immunodeficienza acquisita rappresenta uno dei meccanismi più complessi e al tempo stesso interessanti di immunodeficienza secondaria, soprattutto per la particolarità di replicazione virale del virus HIV.

Dunque l’AIDS, pur essendo una patologia in cui si riscontra un’eziologia infettiva, ha una patogenesi squisitamente immunologica poiché, colpendo i linfociti T Helper, causa una forte contrazione della risposta immunitaria specifica.

I contagi e i decessi a livello mondiale risultano essere ancora molto elevati, ma sono presenti forti squilibri dovuti alla diversa disponibilità di accesso ai farmaci nelle zone più svantaggiate economicamente. Infatti tutt’oggi in gran parte dei paesi con un’economia avanzata si può iniziare a considerare questo tipo di patologia come una malattia cronica e non più letale, grazie alla terapia antiretrovirale che è stata sviluppata alla fine del secolo scorso.

Le modalità di trasmissione dell’HIV

Le modalità di trasmissione del virus HIV possono essere principalmente tre:

  • La via sessuale, ovvero mediante rapporti sessuali non protetti con un partner infetto. Infatti all’interno del liquido spermatico e del fluido vaginale sono contenute elevate dosi di HIV;
  • La via parenterale, tramite aghi e siringhe contaminate da piccole quantità virali. Per questo motivo qualsiasi scambio di sangue o contatto attraverso le mucose rende possibile il contagio;
  • La via verticale (madre-figlio) tramite il passaggio del neonato nel canale vaginale al momento del parto o tramite l’allattamento;

L’importanza della prevenzione

Il presidio principale di lotta contro la trasmissione di questo virus resta la via della prevenzione, che permette di controllare i soggetti infetti principalmente con campagne di sensibilizzazione sul tema e di educazione sessuale, affinché siano evitati i rapporti non protetti. Sono inoltre consigliati esami del sangue frequenti ed è fortemente raccomandato di evitare l’uso di siringhe non sterili e contaminate con sangue infetto.

Il genoma virale del virus HIV

Il virus HIV appartiene alla famiglia dei Retrovirus, una famiglia di virus a RNA che sono in grado di effettuare la retrotrascrizione, un fenomeno per cui da un filamento di mRNA la trascrizione si dirige in senso inverso e si ottiene un filamento di c-DNA, ovvero DNA complementare.

È un virus rivestito poiché oltre al capside, costituito dalla proteina p24, il virus è avvolto da un envelope di natura lipidica costellato da particolari glicoproteine che consentono il legame col recettore cellulare CD4 del linfocita T helper e la fusione con la cellula infettata.

Questeglicoproteine, fondamentali per il legame del virus alla sua molecola recettore e per la fusione, sono la gp120 e la gp41. Sotto al capside è presente lo strato della matrice costituito dalla proteina p17 e il materiale genetico rappresentato da un doppio filamento di RNA.

Il corredo enzimatico dell’HIV è costituito principalmente da tre enzimi quali la trascrittasi inversa, la proteasi e l’integrasi, fondamentali per la replicazione virale.

Il virus ha come bersaglio i linfociti CD4 positivi, perché riconosce come recettore la molecola CD4 che contraddistingue questa classe di linfociti T helper. Anche i monociti possono esprimere CD4, dunque l’HIV ha una porta d’ingresso anche per altri tipi di leucociti.

Il linfocita T è quindi la cellula bersaglio che più patisce nella numerosità e nella funzionalità. Questa riduzione e ipofunzionalità del linfocita T porta a una deregolazione del sistema immunitario e una perdita di efficienza dell’immunità specifica.

Le fasi della malattia

Una persona, dopo essere entrata in contatto con l’HIV, diventa sieropositiva al test per l’HIV. La sieropositività implica che l’infezione è già in atto e che il paziente è contagioso.

Tra il momento del contagio e la positivizzazione del test HIV intercorre un periodo, detto periodo di latenza, che può durare qualche settimana o addirittura anni, durante i quali, anche se la persona risulta ancora negativa al test, è potenzialmente già capace di trasmettere l’infezione.

Dopo il contagio è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi dell’infezione solo al manifestarsi di alcune malattie, momento in cui l’immunodeficienza diventa clinicamente conclamata a causa dell’insorgenza di una o più patologie cosiddette “indicative di AIDS”.

Queste patologie sono infezioni opportunistiche provocate da agenti patogeni che normalmente non infettano frequentemente le persone sane, ma che sono capaci di infettare persone con un sistema immunitario fortemente debilitato. I principali agenti patogeni sono:

  • I protozoi, tra cui lo Pneumocystis carinii, responsabile di una forma di polmonite detta “pneumocistosi”; il Toxoplasma gondii, che provoca la toxoplasmosi;
  • Alcuni batteri, soprattutto il Mycobacterium tuberculosis, responsabile della tubercolosi;
  • Alcuni virus, tra cui l’Herpes simplex e il Citomegalovirus;
  • I miceti, come per esempio la Candida albicans;

Fra le malattie indicative dell’AIDS sono compresi anche diversi tipi di tumori, soprattutto i linfomi, il sarcoma di Kaposi e il carcinoma della cervice uterina.

La diagnosi dell’HIV

La diagnosi di HIV viene effettuata attraverso l’identificazione degli anticorpi anti-HIV. In questa fase sono eseguiti alcuni test di screening che devono rispettare determinate caratteristiche nelle analisi di laboratorio, ovvero:

  • Dare un risultato attendibile;
  • Mantenere un costo contenuto;
  • Essere eseguiti in un intervallo di tempo ragionevole;

Parliamo di soggetti sieropositivi se presentano anticorpi anti-HIV, i quali vengono eseguiti subito dopo il contagio e varie volte nei sei mesi successivi l’esordio dell’eventuale infezione.

Un’altra tecnica diagnostica nell’ambito sierologico consiste nel test ELISA, un test immunoenzimatico molto sensibile ma poco specifico, che dunque necessita di un secondo test di conferma basato sulla tecnica del Western blot.

La classificazione dei farmaci

All’inizio si era tentata una soluzione cercando di trovare un vaccino contro questa infezione, ma essendo molto alto il tasso di mutagenesi virale l’opzione si rese impraticabile. Dunque altri gruppi di ricerca si sono concentrati sull’inibizione di alcuni enzimi costituenti l’apparato enzimatico del virus, in particolar modo della trascrittasi inversa.

Il primo farmaco utilizzato, la zidovudina, era un agente inibitore della trascrittasi inversa e pareva essere una soluzione vincente per contrastare la replicazione virale. In assenza della trascrittasi inversa, infatti, il virus non riesce ad effettuare la sua replicazione virale e dunque si abbassa nettamente la sua carica virale.

Il problema della zidovudina fu però rinvenuto pochi mesi dopo nella tossicità del farmaco. Dunque la possibilità di colpire la replicazione del virus con questo farmaco sembrava una strategia con dei costi troppo alti per la salute del paziente, dal momento in cui alcuni soggetti non erano in grado di sopportare la terapia e si trovavano costretti ad interromperla. Questo faceva risalire la carica virale in molti pazienti e ne impediva la completa guarigione.

In un secondo momento la ricerca ha potenziato gli inibitori enzimatici dell’HIV, arrivando ad attaccare non solo la trascrittasi inversa, ma tutto l’apparato enzimatico del virus. Sono stati brevettati dei farmaci che attaccano la trascrittasi inversa, con un meccanismo diverso e una tossicità minore della zidovudina.

La terapia HAART

La terapia antiretrovirale è dunque l’attuale terapia farmacologica basata su tre fattori:

  1. Analoghi nucleosidici della trascrittasi inversa;
  2. Analoghi non nucleosidici della trascrittasi inversa;
  3. Inibitori di altre proteasi;

I farmaci vengono divisi in base al meccanismo d’azione e del bersaglio verso cui si indirizzano all’interno del ciclo replicativo andando ad agire su tre funzionamenti enzimatici diversi.

Questa triplice alleanza di farmaci, conosciuti con la sigla HAART (Higly Active Antiretroviral Therapy), ha tutt’oggi avuto un’altissima efficacia ed ha prodotto una diminuzione molto significativa dei ricoveri e degli esiti letali dovuti all’AIDS, rimanendo tutt’oggi la terapia in uso.  

Giulia Marianello per Questione Civile

Sitografia

www.epicentro.iss.it

www.humanitas.it

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