L’artrite reumatoide, una malattia di origine autoimmune

artrite reumatoide

L’artrite reumatoide, una patologia autoimmune di interesse sistemico

L’artrite reumatoide è una malattia sistemica con patogenesi autoimmune che interessa prevalentemente il sistema muscolare e scheletrico, avendo come segno clinico principale le deformità articolari, ma possono essere coinvolti tutti gli organi. La malattia colpisce prevalentemente le piccole articolazioni prossimali delle mani, in particolar modo le articolazioni interfalangee prossimali o le metacarpo-falangee. Possono essere coinvolte anche le grandi articolazioni, come quelle del ginocchio, del gomito e della spalla e l’interessamento degli arti è quasi sempre simmetrico.

Le principali manifestazioni articolari

Le deformità tipiche di questa patologia comprendono alcuni segni clinici: 

La deviazione ulnare: è provocata dalla tumefazione dorsale delle articolazioni metacarpo-falangee che determina la lussazione volare delle falangi prossimali sulle teste metacarpali, con stiramento del tendine estensore e suo scivolamento laterale; il pollice a zeta, che consiste nella flessione delle metacarpo-falangee con l’iperestensione delle interfalangee; le dita a collo di cigno ovvero la flessione delle metacarpo-falangee con iperestensione delle interfalangee prossimali e flessione delle interfalangee distali;

Dal punto di vista radiografico si stabiliscono queste deformità a causa delle erosioni dell’osso, che sembra essere quasi scalfito. Le erosioni sono dette a “morso di topo” e se all’inizio possono sembrare lievi, finiscono quasi sempre per aggravarsi.

Diagnosi differenziale tra l’artrite reumatoide e l’artrosi

Pur avendo appena elencato le principali manifestazioni articolari e ossee, non è detto che tutti i pazienti che presentano deformità simili a quelle elencate siano affetti da artrite reumatoide. Infatti, molti sintomi clinici sono sovrapponibili con le manifestazioni cliniche dell’artrosi. Quindi, la distinzione tra le due forme patologiche è possibile grazie alla pratica clinica e alle analisi di laboratorio.

Da un punto di vista clinico, infatti, nell’artrite reumatoide abbiamo un interessamento delle articolazioni interfalangee prossimali o delle metacarpo-falangee, mentre nell’artrosi c’è un coinvolgimento prevalente delle articolazioni interfalangee distali e un’erosione localizzata principalmente a livello assiale.

Da un punto di vista diagnostico, i pazienti con l’artrite reumatoide presentano indici di flogosi molto alti quali la velocità di eritrosedimentazione (VES) e la proteina C reattiva (PCR), classici markers dell’infiammazione acuta. Compare inoltre il fattore reumatoide e soprattutto l’anticorpo anti-CCP, che vedremo avere una rilevanza fondamentale nella diagnosi differenziale.

Nell’artrosi erosiva, invece, i pazienti invece non presentano elevati indici di flogosi e nemmeno gli anticorpi anti-CCP alti. Questi pazienti possono però presentare il fattore reumatoide, che è un autoanticorpo in comune con l’artrite reumatoide, tipico anche di altre malattie infettive e autoimmuni.

La patogenesi dell’artrite reumatoide

La malattia è dovuta alla perdita di tolleranza da parte del sistema immunitario nei confronti di alcuni antigeni del nostro sistema, detti perciò antigeni self. Questi antigeni, dal momento in cui subiscono delle modifiche traduzionali o a livello post-traduzionale, non sono riconosciuti dal nostro sistema immunitario che pertanto produce anticorpi diretti contro i nostri antigeni.

I primi sintomi clinici della malattia compaiono a livello periferico, per poi interessare le capsule articolari e avere un interessamento sistemico.

L’artrite reumatoide è una patologia multifattoriale: sono due i fattori principali che subentrano nella patogenesi, quali la predisposizione genetica individuale e i fattori ambientali, quali il fumo e le infezioni virali che agiscono come evento “trigger”, scatenando le modificazioni post traduzionali degli antigeni.

Questi fattori ambientali in un soggetto che non ha una predisposizione genetica, non inducono alla comparsa della malattia, mentre in un soggetto predisposto geneticamente possono portare alla perdita della tolleranza.

Quindi nel momento in cui le cellule del sistema immunitario rilevano la presenza di questi antigeni modificati, si attivano e svolgono la loro funzione di cellule presentanti l’antigene. Le cellule infatti presentano i neo-antigeni al sistema immunitario, il quale stabilisce una risposta immunitaria adattativa volta alla produzione di autoanticorpi, ovvero anticorpi diretti contro un antigene self che non è stato riconosciuto dal nostro sistema immunitario.

Gli autoanticorpi in questione, in un primo momento, causano un danno a livello articolare ma poi possono essere responsabili delle manifestazioni sistemiche, infatti un loro valore molto elevato è associato anche ad un rischio cardiovascolare più alto.

Gli auto-anticorpi: il fattore reumatoide

Il fattore reumatoide è un autoanticorpo, che può essere costituito da un’immunoglobulina M (igM), un’immunoglobulina A (IgA) o una immunoglobulina G (IgG). Questi auto-anticorpi hanno in comune la capacità di riconoscere la porzione costante delle immunoglobuline G e di attaccarla, dal momento che non sono capaci di riconoscerla.

Esso è un auto-anticorpo che può risultare elevato in un paziente con artrite reumatoide, ma il parametro dal punto di vista clinico non è ritenuto specifico e non ci permette di effettuare alcuna diagnosi differenziale tra l’artrite reumatoide e l’artrosi erosiva.

Infatti, il fattore reumatoide può essere elevato anche in altre condizioni patologiche, quali le infezioni virali, le neoplasie, altre malattie autoimmuni e perfino in alcune condizioni fisiologiche può risultare più alto. Infatti, con l’aumentare dell’età il sistema immunitario perde la sua efficienza e inizia a manifestarsi una produzione di auto-anticorpi a bassa concentrazione.

Dunque, un valore anomalo e più alto del fattore reumatoide a livello sierologico non permette di effettuare una diagnosi. La diagnosi deve essere tener conto della valutazione clinica e soprattutto basarsi su altri parametri di esami di laboratorio, anche con l’aiuto di altri esami strumentali.

La scoperta dell’anticorpo anti-CCP: una svolta nella diagnosi dell’artrite reumatoide

Nella diagnosi dell’artrite reumatoide è stata fondamentale la scoperta degli anticorpi anti-peptide ciclico citrullinato (anti-CCP) resa possibile nel 2004 dal biochimico olandese Erik Vossenaar. Lo studioso ha ripreso gli studi sull’artrite conferendo una valutazione biochimica ai fenomeni già descritti in passato.

Grazie ai suoi studi sulla composizione biochimica di una proteina dell’epidermide, la profilaggrina, Vossenaar ha scoperto i cambiamenti subiti da questa anche nei processi fisiologici. La profilaggrina viene tagliata e subisce delle modifiche molto significative a livello dell’epidermide. In questo modo, Vossenaar ha scoperto il fenomeno della “Citrullinazione’’, ovvero una modifica enzimatica legata all’attivazione di un enzima, detto PAD (Peptidil-arginin deaminasi) capace di trasformare un residuo di peptidil-Arginina in un residuo di peptidil-Citrullina in una modifica post-traduzionale.

A differenza del fattore reumatoide, dunque gli anticorpi anti-CCP sono presenti solo nei soggetti affetti da artrite reumatoide e dunque permettono di effettuare una diagnosi differenziale. Ancora oggi gli anticorpi anti-CCP sono il gold standard nella diagnosi dell’artrite reumatoide.

Il ruolo predittivo degli auto-anticorpi

Verificare la concentrazione sierologica degli anticorpi anti-CCP dunque più che un ruolo diagnostico, ha quindi un importante ruolo predittivo: se un paziente presenta gli anticorpi anti-CCP molto alti nelle analisi di laboratorio, bisogna cogliere l’importanza di questo fattore di rischio, anche se non compare nessuna manifestazione clinica associata all’artrite.  

Il paziente infatti deve comprendere che presenta un fattore di rischio importante per lo sviluppo della malattia, perciò deve cercare di eliminare tutti gli altri possibili fattori di rischio visto che la produzione di autoanticorpi è molto alta.

Trattamento conservativo

I trattamenti includono semplici misure conservative oltre a farmaci e a trattamenti chirurgici. Le misure più semplici mirano ad alleviare i sintomi e comprendono il riposo, un’alimentazione adeguata e trattamenti fisioterapici. I soggetti devono prendere provvedimenti per ridurre il rischio di cardiopatie, quali smettere di fumare e, se necessario, seguire una terapia per ridurre la pressione arteriosa elevata e gli eccessi di lipidi o colesterolo nel sangue.

Giulia Marianello per Questione Civile

Sitografia

www.ior.it

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