La sindrome metabolica, un’emergenza sanitaria dei nostri tempi

La sindrome metabolica

La sindrome metabolica e l’obesità: la nuova emergenza sanitaria del XXI secolo

La sindrome metabolica è una condizione clinica caratterizzata dalla compresenza di fattori di rischio, tra loro correlati, per malattie cardiovascolari e diabete. Viene diagnosticata questa condizione clinica quando ci si trova in presenza di almeno due tra i fattori di rischio di seguito elencati:

  • BMI (body mass index) superiore a 30 kg/m2
  • Alterazioni del metabolismo glucidico: glicemia a digiuno tra i 110-125 mg/dl, ovvero alterata glicemia a digiuno o in presenza di diagnosi di diabete di tipo 2 o di insulino-resistenza.
  • Aumento della pressione arteriosa: pressione sistolica > 140 mmHg e pressione diastolica > 90 mmHg o nel caso in cui il paziente assuma già farmaci antipertensivi.
  • Riduzione dell’HDL: valori minori di 35 mg/dl negli uomini e minori di 39 mg/dl nelle donne.
  • Aumento dei trigliceridi: nel caso in cui i valori a digiuno siano superiori ai 150 mg/dl.

Oltre ai segni più frequenti della sindrome metabolica, possiamo riscontrare anche una condizione di iperuricemia, ovvero un’alterazione a carico del metabolismo dell’acido urico, la quale è frequentemente associata all’insulino-resistenza. Infatti è frequente che i livelli di uricemia spesso siano correlati con l’indice di massa corporea (BMI) e con la circonferenza della vita, dunque con due dei parametri fondamentali della sindrome metabolica e dell’obesità.

L’obesità come fattore di rischio della sindrome metabolica

Spesso la causa principale della sindrome metabolica e dell’obesità è legata all’età. L’insulino-resistenza è una condizione infatti legata all’avanzare dell’età e questo è dovuto alla diminuzione della massa magra e all’aumento del tessuto adiposo, soprattutto a livello addominale.

Questi fattori si sommano con l’aumentare dell’età alle modificazioni comportamentali, quali la riduzione dell’attività fisica e i cambiamenti ormonali. Si assiste infatti ad una riduzione di ormoni anabolici e all’aumento di radicali liberi plasmatici, responsabili dello stress ossidativo.

L’obesità è infatti definita come un’alterazione della composizione corporea caratterizzata da un eccesso di tessuto adiposo causato da un introito energetico eccedente rispetto alla spesa. Questa sindrome peggiora significativamente la qualità della vita e aumenta il rischio di molte patologie associate.

Il ruolo del tessuto adiposo viscerale

 L’uomo per conservare energia nella cellula adiposa accumula grasso a dismisura. Gli adipociti, infatti, sono in grado di sostentare il metabolismo di tutte le cellule e non vengono mai ridotti numericamente per mantenere un buon bilancio energetico. Quando però si aumenta di peso, si generano nuovi adipociti e si va incontro a un’iperplasia della massa grassa.

È importante ricordare la correlazione che esiste tra il tessuto adiposo viscerale nelle persone obese e i fattori correlati all’infiammazione acuta, in particolare le citochine pro-infiammatorie. Infatti, il processo di formazione della placca aterosclerotica è correlato ai fattori infiammatori presenti in questa fase, perché ovviamente gran parte dell’aumento del rischio cardiovascolare deriva proprio dal ruolo che hanno questi fattori nella formazione della placca aterosclerotica.

Il ruolo dell’infiammazione nella sindrome metabolica

Oltre ai mediatori più strettamente legati all’infiammazione, è necessario ricordare anche il ruolo delle adipochine, delle citochine prodotte e secrete dal tessuto adiposo. Questi fattori tendono ad alterare il senso della fame e della sazietà; hanno un effetto significativo sul metabolismo glucidico e lipidico, sulla pressione sanguigna e indirettamente anche sul sistema immunitario. Questa alterazione porta a un aumento dell’infiammazione.

L’ipotesi patogenetica del meccanismo è spiegata fisiologicamente dal fatto che gli adipociti sono responsabili dell’accumulo degli acidi grassi e dell’omeostasi del metabolismo lipidico. Infatti la regolazione del metabolismo lipidico avviene grazie all’azione e ai fattori prodotti dai macrofagi di tipo M2, ovvero dei macrofagi “spazzini”, quindi coinvolti nella riparazione e nel processo fibrotico, al contrario del fenotipo macrofagico M1 coinvolto nel processo di infiammazione acuta.

Il ruolo dei macrofagi

Nel caso dell’obesità, questo cross-talk induce i macrofagi ad acquisire, piuttosto che un fenotipo M2, un fenotipo infiammatorio M1, perché comincia questa liberazione di citochine pro-infiammatorie. L’attivazione di questi macrofagi conferisce un input ulteriore all’ipertrofia degli adipociti, richiama ulteriori macrofagi e si forma un infiltrato macrofagico di fenotipo M1 che rilascerà sempre più fattori dell’infiammazione.  Si assiste all’amplificazione dell’infiammazione e la proliferazione delle cellule man mano porta a condizioni di ipossia che a sua volta generano di nuovo una reazione infiammatoria.

Inoltre, c’è un altro particolare fattore che subisce un’alterazione. Si tratta della leptina, un fattore ormonale che tende a placare il senso di fame, che subisce un significativo aumento. Questa alterazione risulta paradossale nel paziente obeso, ma proprio l’aumento della leptina spiega l’alterazione patogenetica dell’obesità: si assiste ad una produzione di leptina alterata e contemporaneamente alla leptino resistenza, quindi ad una diminuita sensibilità alla leptina. Di conseguenza c’è una continua iperfagia, finalizzata a placare il senso della fame perché la leptina non funziona correttamente e contemporaneamente diminuisce la spesa energetica.

L’epidemiologia della sindrome metabolica

Nei paesi industrializzati l’obesità è una condizione molto diffusa, dal momento che ne è interessato un individuo su tre. Il paziente obeso ha un rischio molto più alto di mortalità di un soggetto normopeso e la questione a livello di sanità pubblica è centrale dal momento che l’obesità è la prima causa di morte prevenibile nei paesi occidentali.

L’eccesso di peso ha molti effetti negativi sulla salute: in primo luogo porta allo sviluppo dell’ipertensione, in secondo luogo aumenta la concentrazione sanguigna di colesterolo LDL, favorendo la formazione della placca aterosclerotica. Infine, favorisce l’insorgenza del diabete di tipo 2.

In base all’indice di massa corporea si può distinguere tra obesità moderata, severa e morbigena. Un altro parametro significativo è dato dalla misurazione della circonferenza addominale.

Nel paziente obeso, la circonferenza addominale nell’uomo supera i 102 cm, mentre nelle donne è superiore agli 88 cm. La distribuzione del grasso viscerale è però differente a seconda del genere; dunque, si parla di obesità androide e ginoide. L’uomo distribuisce il grasso prevalentemente sull’addome, dunque la sua forma è definita “a mela”; mentre nel sesso femminile il grasso è deposto maggiormente sui fianchi e perciò si parla obesità “a pera”.  

La sindrome metabolica: una patologia multifattoriale

L’obesità è una patologia multifattoriale dal momento che non dipende esclusivamente dalla dieta, bensì sono coinvolti in maniera significativa molti fattori: tra cui lo stile di vita, i fattori endocrini, e in minima parte anche la questione genetica, dal momento che l’obesità legata a fattori genetici viene associata a sindromi particolari.

Comunemente, invece, sono oggetto di studio le condizioni che probabilmente sono molto meno rare delle condizioni genetiche, ovvero si tratta dei fattori epigenetici. Ad esempio, è stato dimostrato come la condizione di iponutrizione in fase fetale inneschi una regolazione epigenetica per cui il bambino nasce con una predisposizione all’obesità, poiché produce in eccesso un fattore, il fattore CF2, il quale viene continuamente attivato.

In conclusione, anche lo stile di vita sedentario e l’inattività fisica giocano un ruolo importante nello sviluppo dell’obesità e della sindrome metabolica. Infatti, l’uso crescente dei mezzi di trasporto, lo sviluppo del settore terziario e lo stile di vita contemporaneo hanno contribuito a rendere insufficiente l’attività motoria praticata da gran parte della popolazione. Si stima che il 60% della popolazione non pratichi sufficiente attività fisica con regolarità nei Paesi industrializzati.

L’OMS ha registrato infatti una netta diminuzione del numero persone che nel tempo libero si dedicano ad attività fisiche, evidenziando come sia negli adulti ma soprattutto nei bambini ci sia un nesso tra il tempo trascorso di fronte alla televisione o con altri dispositivi elettronici e il maggiore rischio di sviluppare la patologia. 

Giulia Marianello per Questione Civile

Bibliografia

Patologia generale e fisiopatologia generale, G.M. Pontieri- F. Mainiero-R. Misasi-M. Sorice, Piccin Editore, 2018.

Sitografia

www.auxologico.it

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