Robert Butler, il gerontologo che coniò il termine “ageismo”
Oggigiorno, la nostra società dà rilevanza alle discriminazioni di genere, di razza, di ceto sociale, mentre tende a trascurare quella che prende il nome di “ageismo”, ovvero, la discriminazione relativa all’età anagrafica.
Il termine fu coniato nel 1969 dal gerontologo Robert Butler, considerato il padre della geriatria per i suoi importanti contributi scientifici e medici. La sua opera “Human Ageing” è ancora un importante punto di riferimento per comprendere le pratiche discriminatorie attuate a livello individuale, sociale e istituzionale. Nel dettaglio, si parla di ageismo autodiretto, quando questo risulta internalizzato e diretto contro di sé; si dice interpersonale, quando insorge attraverso l’interazione tra due o più individui; si dice istituzionale, quando le leggi, i ruoli e le norme sociali limitano le opportunità per gli individui anagraficamente non più giovani.
Una discriminazione basata anche sul sesso
C’è da dire che esiste una discriminazione nella discriminazione, di fatto anche fra gli uomini e le donne è applicato un doppio standard rispetto all’invecchiamento. Spesso, nella cultura popolare e nei media, prevale il pregiudizio secondo cui gli uomini “maturano” con l’età, divenendo più saggi e rispettabili. Questa percezione li rende degni di un’ammirazione che cresce con l’avanzare dell’età, facendo sì dunque che l’invecchiamento arricchisca il loro valore sociale e personale.
Al contrario, le donne si trovano ad affrontare una realtà del tutto opposta. Il loro invecchiamento è giudicato molto sotto l’aspetto esteriore e poco o niente nei riguardi della loro interiorità. Da parte della società, è forte la pressione per mantenere la gioventù e l’attrattiva fisica, di fatto l’invecchiamento rappresenta il declino di bellezza e vigore. Dunque, con la vecchiaia, il valore della donna si riduce a come appare, annullando l’apprezzamento per le qualità interiori, l’intelligenza e i successi ottenuti.
Servirebbe un cambiamento profondo per smantellare questo doppio standard ormai radicato nel tempo. Le persone andrebbero valorizzate per le loro competenze, i contributi alla società e i propri vissuti personali, indipendentemente dal loro genere. Bisognerebbe promuovere una narrazione in cui sia uomini che donne possano invecchiare sentendosi orgogliosi del proprio vissuto, indipendentemente dal loro “involucro”; una narrazione in cui si dia peso a ciò che hanno donato, a ciò che lasceranno in questo mondo, piuttosto che al come lo lasceranno.
Con la pandemia, intesificazione del fenomeno dell’ageismo
Il fenomeno dell’ageismo è stato ripreso in un rapporto dell’OMS,secondo cui una persona su due nel mondo adotta comportamenti discriminatori nei confronti degli anziani.
Prendendo in considerazione gli anni della pandemia, possiamo dire che fu il periodo in cui il fenomeno si è manifestato con maggiore intensità. Alcuni interventi politici, nei riguardi degli anziani si dimostrarono privi di tatto e di rispetto per la categoria. A ricordarli, appare come se gli anziani rappresentassero il problema piuttosto che una categoria fragile da proteggere in un momento storico difficile e delicato. Il Ministero della Difesa israeliana dichiarò: “l’intuizione più importante… è quella di separare gli anziani dai giovani. La combinazione di cocktail più letale è quando la nonna incontra suo nipote e lo abbraccia”. Nel Regno Unito, inizialmente, il Primo Ministro Boris Johnson suggeriva che gli anziani di età superiore ai 70 anni avrebbero dovuto isolarsi per 4 mesi. Il vicegovernatore del Texas, Dan Patrick, affermò che avrebbe preferito morire piuttosto che danneggiare l’economia americana, aggiungendo che “molti nonni sarebbero stati d’accordo con lui”.
Mettere a repentaglio l’autonomia degli anziani, ignorando il loro contributo sociale e i loro bisogni fisici ed emotivi sono certamente messaggi ageistici. Non è possibile utilizzare il solo dato anagrafico come unico criterio di valutazione, associando in maniera automatica l’età avanzata all’essere vulnerabili, dipendenti e limitanti.
Dopo la pandemia, un simposio per gli anziani
Dopo la pandemia, nel marzo del 2022, L’AIP (Associazione italiana di psicogeriatria) ha tenuto a Firenze un Congresso Nazionale, dedicando al tema un simposio. Il simposio fu intitolato: “Proteggere gli anziani dalle discriminazioni in sanità: una sfida possibile?”
«C’è un ageismo istituzionalizzato: si manda in pensione in base all’età e non a capacità diminuite. Al contrario, non si assume una persona brava e capace perché troppo anziana», spiega il professor Diego De Leo, Presidente dell’AIP (Associazione italiana di Psicogeriatria).
«La disistima è talmente scolpita in tutti noi, che si è portati a parlargli ad alta voce o con parole molto facili, scandite». «Così li si infantilizza», prosegue, «Tutto questo fa male, rende la vita più difficile, anche più breve. Ed isola le persone, sospinte alla larga dal circolo della vita. Così ecco – conclude il professor De Leo – la grande epidemia sociale della solitudine, tanto diffusa tra gli anziani». Riferendosi alla sanità: «Beh, sono innumerevoli i tentativi di non garantire una piena assistenza sanitaria agli anziani, di risparmiare sulle cure. Sono persone non più produttive… sta qui il pregiudizio di fondo», dichiara il prof. Diego De Leo.
La stessa geriatria, una medicina dedicata all’età avanzata, non riceve la giusta attenzione, mentre i suoi esponenti non sono facilitati nel loro lavoro. Anziani esclusi anche dai trial clinici: «Perché sono persone troppo particolari, troppo “inquinate” dalla loro fragilità per cui occorrerebbero sperimentazioni più sofisticate, maggiori controlli. Certo, sono indagini più sottili e complesse di altre, perciò vengono tralasciate, ma ce ne sarebbe un gran bisogno». Senza considerare che gli anziani costituiscono una parte importante della popolazione e sono i primi utilizzatori di farmaci e terapie.
Cosa fare per combattere il fenomeno dell’ageismo?
Essenziale è il punto con cui il professor De Leo termina il colloquio: «L’ascolto! Ecco che cosa è fondamentale e che manca nella medicina moderna. Specie per gli anziani, che già arrivano convinti che non saranno ascoltati, l’ascolto è fondamentale. Ma bisogna anche riuscire a farglielo capire che li si sta ascoltando per davvero».
In conclusione, contrastare la discriminazione in base all’età non è impossibile, ma richiede il coinvolgimento e la collaborazione da parte della comunità, le istituzioni e i governi; è necessario che vi sia un cambiamento culturale che garantisca diritti e supporto agli anziani. Attraverso opportunità di partecipazione sociale si ridurrebbero la solitudine e la depressione, cosicché gli anziani potranno concludere la propria esistenza nel migliore dei modi possibili. Ciò può avvenire grazie all’attuazione di diverse azioni quali: maggiore consapevolezza ed empatia rispetto alle condizioni dell’essere anziani, ascolto attivo e rispetto riguardo al vissuto di ogni singolo individuo. A queste si aggiunga un’attenzione ai pregiudizi e alle convinzioni che si sono radicati nel tempo dentro noi sulla vecchiaia. Non ultimo, ovviamente, non si può non tener vivo il pensiero che l’invecchiamento sia un processo irreversibile che, prima o poi, riguarderà tutti noi.
Maria Di Lanno per Questione Civile
Sitografia
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