Vittore Carpaccio e il ciclo di San Giorgio agli Schiavoni

Vittore Carpaccio

I teleri di Vittore Carpaccio alla Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone a Venezia

Vittore Carpaccio (1465 circa – 1525 o 1526) fu uno degli artisti più originali, fantasiosi e inventivi che operarono nella Venezia di pieno Rinascimento, all’epoca straordinario crocevia economico e culturale.

Le origini di Vittore Carpaccio

La Serenissima, tra XV e XVI secolo, era una vera potenza europea e mediterranea, nonostante fosse continuamente colpita da gravi crisi politiche ed economiche, su tutte la Guerra di Cambrai (1508-1516) contro il papato, altri stati italiani, il Regno di Francia e il Sacro Romano Impero.

Carpaccio si formò e coltivò la sua arte osservando la tradizione pittorica veneziana dei Bellini, dei Vivarini, così come di altre influenti personalità e tendenze artistiche, guardando alla lezione dei toscani, dei ferraresi, di Antonello da Messina, dei tedeschi (si pensi a Dürer) e dei fiamminghi. Ne derivò una personalità originale e autonoma, particolarmente attratta dai particolari di flora, fauna e paesaggio, di architettura, arredo e decorazione, di abbigliamento e storia. 

Nel dipingere adottò così molteplici ‘registri’ personali, dal giocoso al teatrale, dall’aneddoto alla satira, giungendo anche a supremi vertici di poesia, psicologismo, drammaticità e profondità spirituale. Fu per questi aspetti che Carpaccio fu di fatto uno degli inventori della pittura europea “di genere”, riconosciuto come un insuperato “narratore di storie”; infatti fu sempre celebrato soprattutto per i suoi cicli, ovvero serie coordinate di tele (teleri) che tramandano articolati racconti sacri. Racconti e frammenti, precisamente ambientati nella loro suggestiva narrazione visiva popolare, furono realizzati per le sale di riunione di confraternite religiose laicali, a Venezia dette “scuole”.

Le Scuole veneziane

Le Scuole non sono luoghi di formazione, bensì associazioni costituite essenzialmente da laici raggruppati in comunità con varie ragioni d’essere, prevalentemente di tipo assistenziale. Possono essere inclusi in rari casi i clericali, sollecitati per compiti di ufficio religioso, ma erano prevalentemente costituite da componenti provenienti dalla classe borghese, mercantile e imprenditoriale che, affiancandosi a quella patrizia, trovavano riconoscimento di prestigio sociale e di immagine. In particolare le Scuole veneziane sono suddivise in scuole di nazione (Venezia intesa come “città mondo”, mediante gruppo geografici connotati culturalmente), che raggruppanoindividui della stessa nazionalità; di arti e mestieri, altrimenti note come corporazioni, con funzioneprimariamente devozionale; di devozione propriamente dette, nascono in seno alle parrocchie e possono anche distaccarsi da questa mediante l’istituzione di una sede indipendente. In base alnumero di confratelli e di aderenti, a loro volta le Scuole erano suddivise in scuole piccole e scuole grandi.

Seguendo la tradizione avviata dopo la metà del Quattrocento da pittori come Gentile e Giovanni Bellini, Lazzaro Bastiani o Giovanni Mansueti, Carpaccio realizzò ben quattro cicli narrativi completi per le suddette Scuole veneziane: di Sant’Orsola; Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone (o degli Schiavoni); degli Albanesi; di Santo Stefano. Destinati a decorare le pareti delle rispettive sedi, realizzati non ad affresco, ma su più durevoli tele, i racconti sacri si prestarono perfettamente ad essere programmaticamente attualizzati nella Venezia contemporanea, sia per le ambientazioni, sia per ospitare, mescolati ai protagonisti, veri ritratti di confratelli, certamente i principali patrocinatori e finanziatori.

Il ciclo di teleri di Vittore Carpaccio per la Scuola degli Schiavoni

Tra i capolavori della maturità dell’artista, i teleri realizzati per la Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone (detta anche degli Schiavoni) contengono alcune delle sue immagini più note. I nove dipinti del ciclo, creati da Carpaccio tra 1502 e 1507, di dimensioni più contenute rispetto ai precedenti di Sant’Orsola, sono dedicati a più devozioni: Cristo, Girolamo, Giorgio e Trifone (quest’ultimi considerati i tre santi nazionali dalmati), con alcuni episodi emblematici per ciascuno. È l’unico dei cicli carpacceschi a conservarsi nella sede per la quale fu realizzato (nonostante pare non più nella esatta situazione d’origine), coi dipinti destinati a decorare la parte alta delle pareti della sala dedicata alla riunione al piano terreno.

La Scuola Dalmata di devozione, detta degli Schiavoni (slavi) era – ed è tuttora – soprattutto un luogo di aggregazione nazionale per gli immigrati dalla Dalmazia, regione di antica presenza veneziana lungo la costa orientale dell’Adriatico (corrispondente alle attuali Croazia e Montenegro). Numerosa comunità eterogenea, unita dalla fede cattolica e dalla comune minaccia turca, fin dal Trecento faceva capo all’Ospedale dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, nel sestiere di Castello.

Vittore Carpaccio pittore di ‘storie’: il San Giorgio e il drago agli Schiavoni

Uno dei primi dipinti del ciclo, completato nel 1502, raffigura la storia di San Giorgio e il drago. La vicenda è narrata nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine, raccolta medievale di biografie agiografiche composta negli anni centrali del XIII secolo, redatta in latino e volgarizzata da Nicolo Manerbi nel 1475.

Relativamente al santo, nel manoscritto si narra quanto accade nella città di Selene in Libia,minacciata da un drago che, se non avesse ricevuto quotidianamente un tributo in cibo, avrebbe distrutto la città e i suoi abitanti. Tuttavia, una volta terminata la disponibilità di animali da offrire, i seleniti furono costretti a sorteggiare i giovani da dare in sacrificio, finché la sorte capitò alla giovane figlia del re.

Carpaccio rappresenta la principessa sul luogo del martirio, prontamente salvata dal giungere delprode cavaliere San Giorgio, raffigurato a cavallo e in armatura: rappresenta un miles cristiano, un soldato di Cristo.

L’eroe, nonostante il mostro sia in procinto di divorare la principessa, animato dalla fede cristiana sferra un colpo al drago ferendolo alla testa, sprigionando uno zampillo di sangue.

Secondo la narrazione trecentesca, il santo non uccide il mostro immediatamente, bensì lega la cintura verginale della principessa al drago e invitando i cittadini di Selene a convertirsi alla fede cristiana. Carpaccio sceglie di raffigurare la storia suddividendo il racconto nei tre momenti salienti: San Giorgio e il dragoL’uccisone del drago e Il battesimo dei seleniti. I teleri si contraddistinguono così per la presenza di numerosi significati simbolici e religiosi.

Basandosi su quanto racconta la leggenda, il drago è la rappresentazione del male e Giorgio è il simbolo di Cristo (miles cristianus). Infatti Giorgio compare con una armatura lucente, ma senza elmo, per osservarlo in volto e renderlo pienamente riconoscibile.

Il significato religioso e politico della rappresentazione

Carpaccio costruisce una realizzazione pittorica unica. Il terreno su cui cavalca prodemente contro il mostro è disseminato da ossa, resti umani e una presenza ingombrante di piccoli rettili, corteo malefico del drago.

Alla figura del santo affianca la coppia di giovanetti stesi sul terreno che, evidentemente armati di una non corretta prospettiva religiosa, si sono avventati nel medesimo atto coraggioso, non riuscendoci: per sconfiggere il male l’unica arma che si può possedere non è il coraggio, ma la fede in Cristo.

Un ulteriore contrasto è dato dal paesaggio: la principessa si trova su un prato verdeggiante, contrapposto al deserto in primo piano. Sulla destra, in prossimità della principessa si vede il lato positivo, esemplificato dalla presenza di un’aiuola, una chiesa cristiana e un sentiero che conduce alle due possibilità di fede, da quella più solitaria dell’eremo a quella collettiva, della civitas. Il veliero naviga con le vele rigonfie sui mari, mentre al di là dello specchio della cristianità si ha un veliero in difficoltà, dalle vele raccolte, quasi pronto ad affondare. Lo sfondo del dipinto su cui si staglia il rettile, che incarna il male, è caratterizzato da una architettura orientale e paganeggiante, separato da un albero che presenta i rami secchi orientati verso l’oriente pagano e i rami verdeggianti verso la cristianità.

Questa storia per i confratelli della Scuola di San Giorgio degli Schiavoni si cala perfettamente nel contesto veneziano a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. Per Venezia è un periodo di scontro con i turchi, popolazione che inizia ad occupare gradualmente i territori della Serenissima. Il drago con cui san Giorgio si sta scagliando non è solo la rappresentazione della Legenda aurea, bensì è anche la metafora del nemico per eccellenza dei Venezia, i turchi d’Oriente. Carpaccio riesce così ad unire sapientemente il messaggio religioso a quello politico.

Matteo Mazzonetto per Questione Civile

Bibliografia

Bellieni A., Carpaccio nel XIX secolo: verso un’interpretazione moderna, in Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni, catalogo della mostra (Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, 18 marzo-18 giugno 2023), a cura di Peter Humfrey, Marsilio Arte, Venezia 2023, pp. 99-107.

Del Puppo A., Vittore Carpaccio. La fortuna moderna di un maestro antico (parte prima), «Saggi e memorie di Storia dell’Arte», XXXIX (2017), pp. 205-221.

Dunn J., La tecnica pittorica di Carpaccio, in Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni, catalogo della mostra catalogo della mostra (Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, 18 marzo-18 giugno 2023), a cura di Peter Humfrey, Marsilio Arte, Venezia 2023, pp. 74-87.

Piovan V. Randazzo S., Conn M., Carpaccio’s Original Painting Installation in the Scuola Dalmata: Where and Why, «Confraternitas», 32, 1 (2021), pp. 6-25.

Romanelli G., La Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, Lineadacqua, Venezia 2021.

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