Ultimamente dall’America si levano voci di denuncia del presunto genocidio bianco in Sudafrica, ma non è la prima volta
Usando come motivazione ufficiale un presunto “genocidio bianco”, il 12 maggio 2025 il primo gruppo di 59 Afrikaner rifugiati è atterrato negli Stati Uniti. Questo rappresenta un unicum nell’amministrazione Trump, che si è caratterizzata anche per la chiusura ai rifugiati di qualsiasi altro Paese, tra cui l’Afghanistan e il Sudan. È possibile che Elon Musk abbia esercitato una certa influenza al fine di indirizzare il presidente in tale direzione; tuttavia, l’idea del genocidio ai danni dei bianchi non è nuova, né è la prima volta che Trump ne parla così apertamente.
Il genocidio bianco degli Afrikaner
Il 7 febbraio scorso, il Presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo dal titolo “Addressing Egregious Actions of The Republic of South Africa”. Tale documento, piuttosto breve, spiega come molte politiche del Sudafrica, tra cui l’Expropriation Act 13 del 2024, mirino a “smantellare le pari opportunità in lavoro, educazione e business”. Inoltre, gli Stati Uniti considerano inaccettabili le accuse fatte dal Sudafrica contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia e i rapporti commerciali con l’Iran.
Per queste motivazioni, gli Stati Uniti si impegnano sia a sospendere ogni aiuto nei confronti del Paese sia a reinsediare gli Afrikaner perseguitati dalle discriminazioni razziali promosse dal governo sudafricano. L’entrata in vigore del sopracitato Expropriation Act ha, tra gli altri, animato Elon Musk, che ha accusato il governo di “fare poco per fermare il genocidio bianco”. Un’accusa, quella contro il Sudafrica, che è stata formulata anche in altre occasioni, spesso come strumento politico.
Ramaphosa
In occasione della visita del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa alla Casa Bianca del 21 maggio, il tema delle discriminazioni contro gli Afrikaner è stato centrale. In particolare, Trump ha presentato al suo omologo e ai giornalisti le foto di presunti cimiteri di agricoltori bianchi e video in cui si intona il canto “Dubul’ ibhunu”[1].
Come è emerso successivamente, alcuni dei materiali presentati dal presidente americano erano in realtà riferiti ad altri fatti. In ogni caso, Ramaphosa non si è scomposto e ha spiegato come quel canto, nato durante l’apartheid, non fosse rappresentativo delle politiche del suo Paese.
Molti accademici e commentatori hanno, inoltre, sottolineato come la già menzionata legge non sia volta a creare una discriminazione attiva contro gli Afrikaner. Piuttosto, la nuova legge ha sostituito quella del 1975, scritta e promulgata nell’era dell’apartheid, creando delle condizioni più eque per l’esproprio per pubblica utilità e la redistribuzione dei terreni agricoli.
Cosa viene descritto con “genocidio bianco”
La teoria del genocidio bianco, in realtà, ha origini molto lontane e si intreccia con altri concetti controversi come quello della sostituzione etnica. Già nel Mein Kampf, il futuro dittatore tedesco Adolf Hitler esprimeva un concetto per cui, prendendo come esempio la Francia, l’Europa “si va rapidamente negrizzando”. Questo, secondo lui, in trecento anni avrebbe portato alla scomparsa della razza bianca e alla formazione di un “compatto stato africano-europeo che va dal Reno al Congo”.
Tali idee erano ispirate al movimento Völkisch, nato tra il 1806 e il 1871, che mirava a unire tutti i popoli tedeschi in un’unica identità nazionale razzialmente definita. Il termine “genocidio bianco”, invece, è apparso per la prima volta nel 1972 sulla rivista “White Power”, per denunciare il focus delle campagne di controllo delle nascite sulla popolazione bianca; ciò, unito alla crescita delle etnie altre, avrebbe portato a far diventare i bianchi una minoranza razziale.
È con David Lane, suprematista bianco americano e autore delle Quattordici Parole e degli Ottantotto Precetti, che si ha una vera e propria teorizzazione di questo concetto. Il suo “White Genocide Manifesto”, pubblicato nel 1995, stipula l’esistenza di un piano per sterminare la popolazione bianca attraverso l’integrazione e la mescolanza razziale. Inoltre, altri fattori, come la promozione della contraccezione e dell’omosessualità tra bianchi, contribuirebbero all’estinzione della razza in favore di altre che la sostituiranno.
Molti fenomeni effettivamente rilevabili, come le migrazioni, vengono riletti in chiave distopica: non più frutto di forze storiche, ma preciso piano di élite non meglio definite. Lane, tuttavia, le fa coincidere con il “governo di occupazione sionista”, che avrebbe in mano gli Stati Uniti, nonché con “le persone che odiano i bianchi” e “le forze politiche liberali”. È particolarmente importante un passaggio di tale manifesto, per cui “integrazione razziale è un eufemismo per il genocidio bianco”.
Un mero calcolo politico?
Non esistono reali prove a supporto delle teorie propugnate dai vari gruppi di suprematisti bianchi che credono in questo complotto. Anzi, spesso gli accademici e i giornalisti si trovano a smentire le dichiarazioni dei suprematisti, sovente frutto di paranoia, vittimismo e un odio che risulta un elemento identitario.
Tuttavia, tali concetti hanno trovato spazio nella politica di vari paesi, soprattutto europei, e né il Sudafrica né gli Stati Uniti ne sono immuni. Nel primo caso, si parla ancora degli Afrikaner: questi sono i discendenti dei coloni olandesi, al vertice del regime di apartheid caduto solo nel 1994.
Le accuse di pulizia etnica sono dovute soprattutto all’idea per cui gli Afrikaner sarebbero i più colpiti sia dagli omicidi sia dalle politiche del governo; le evidenze, tuttavia, suggeriscono che non esista un particolare accanimento contro gli Afrikaner, che sono ancora il gruppo etnico più ricco e non subisce più omicidi di altri.
Dog-whistling
Nel secondo caso, invece, si parla in particolare del dog-whistling che si è manifestato soprattutto all’interno della prima campagna presidenziale di Trump. Questi ha, infatti, ricondiviso su Twitter dei post scritti da influencer appartenenti a quell’area politica, che si è nei mesi successivi galvanizzata, tra dichiarazioni pubbliche e proteste contro il “genocidio bianco”.
È possibile che questa compiacenza del presidente Trump abbia un triplice scopo. In primis, come abbiamo già visto, una sorta di punizione nei confronti del Sudafrica. Poi, uno spostamento del discorso pubblico verso temi che potrebbero giustificare l’agenda anti-immigrazionista. Infine, la raffigurazione della popolazione bianca come “vittima” di cambiamenti demografici e culturali.
Gli Afrikaner, agli occhi dell’amministrazione Trump, risultano il perfetto esempio della discriminazione che tutti i bianchi, non più percepiti come dominanti, starebbero subendo. In altre parole, il reinsediamento dei bianchi sudafricani è uno strumento per dividere maggiormente un paese la cui frattura sembra già irreparabile.
Francesco Paolo Vitrano per Questione Civile
Sitografia
- nbcnews.com
- whitehouse.gov
- internazionale.it
- laphamsquarterly.org
- ilpost.it
- newyorker.com
- theconversation.com
[1] “Uccidi il boero”.