Il Flourishing: rifiorire al tempo di una pandemia

Il Flourishing: essere o non essere? Languire o fiorire? È questo il problema

In tempo di pandemia si è spesso sentito parlare di languisghing: uno stato emotivo di vuoto e di sospensione. Ma come si fa ad uscirne?
L’opposto del languisghing è il flourishing: uno stato di prosperità e rinascita.

Il benessere: dall’oggettivo al soggettivo

Le radici di questi concetti affondano nella psicologia positiva, un approccio formalizzatosi negli anni ’90.
Gli anni precedenti alla nascita di questa disciplina erano stati caratterizzati da una forte crescita economica e sociale. A questa però non si associò un relativo aumento del benessere e della qualità di vita della popolazione.

Questo rese necessario compiere una distinzione tra fattori oggettivi (salute fisica, stato socio-economico, ruoli sociali, ad esempio) e fattori soggettivi che contribuiscono alla qualità di vita dell’individuo.


Così, gli studiosi dell’epoca giunsero alla conclusione che la sola presenza di fattori oggettivi non è sufficiente a garantire uno stato di benessere, in quanto tale valutazione dipende anche dagli atteggiamenti, dagli obiettivi e dai valori intrinseci all’individuo stesso.

“Il languishing, infatti, si caratterizza per essere uno stato di assenza di benessere e non una patologia.”

Benessere: tra edonia ed eudaimonia

Per comprendere l’importanza e i processi attraverso cui esercitare il flourishing, è necessario passare dal concetto di benessere.
Anche il concetto di benessere è stato influenzato e rivisto nell’ottica della psicologia positiva ed è concepito secondo due dimensioni: quella edonica e quella eudaimonica.


La dimensione edonica del benessere ha a che fare con l’esperienza di emozioni positive. Siamo felici perché proviamo gioia, serenità, perché siamo inseriti in una buona rete sociale, amiamo e siamo amati.
La prospettiva eudaimonica ha invece a che fare con lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità dell’individuo.
Dunque, secondo questa visione siamo felici perché siamo realizzati, perché esprimiamo al massimo noi stessi nel nostro lavoro e nelle nostre relazioni e agiamo secondo quelli che per noi sono i valori-pilastro della nostra vita.

La stessa Organizzazione Mondiale della Salute abbraccia questa visione e definisce la salute mentale come «Uno stato di benessere in cui l’individuo realizza le proprie abilità, può affrontare gli stress normali della vita, può lavorare in modo produttivo e fruttuoso, ed è in grado di fornire un contributo alla sua comunità».

Pandemia e benessere

Lo stato di emergenza in cui ci troviamo da ormai più di un anno ha messo un blocco a queste “fonti” di benessere, bloccando l’espressione delle nostre risorse e privandoci di alcune occasioni sociali. Così, la parola languishing è balzata nella nostra quotidianità tanto da arrivare ad essere definita come l’emozione predominante del lockdown e della pandemia stessa.


Il languishing è definito come uno stato di stagnazione, di indifferenza, che genera una sensazione di vuoto. Non si tratta di uno stato patologico, ma semplicemente di una situazione che non ci permette di esprimere al massimo le nostre potenzialità.
Poiché non si tratta di uno stato patologico, il languishing non causa disagio diretto, ma produce una carenza di motivazione, di iniziativa e di concentrazione che indirettamente interferiscono con il nostro funzionamento sul lavoro e nelle relazioni. Non poche persone si sono riconosciute in tale stato, ma allo stesso tempo troppa poca attenzione è stata dedicata al suo opposto e alle strategie per contrastarla.

Stiamo parlando del flourishing. Questo concetto esprime al massimo l’idea alla base della psicologia positiva in quanto permette agli individui di funzionare in maniera ottimale, di sviluppare ed esprimere al meglio le proprie potenzialità e risorse ed infine di essere più soddisfatti delle proprie esperienze. Per questo è l’”anti-languishing“, il suo naturale opposto.

Ma come si fa ad essere degli individui flourishing?

Secondo i maggiori esponenti della psicologia positiva, il flourishing passa attraverso 5 processi messi in pratica nella vita quotidiana: vivere emozioni positive, essere coinvolti, comprendere se stessi e le proprie priorità, realizzare e costruire buoni rapporti.

Fare caso a quando si è felici

Ma ci si potrebbe chiedere: cosa significa vivere emozioni positive? Come faccio a viverle se queste non si presentano?
In effetti, durante la pandemia siamo sommersi da smart working, lezioni da casa e le occasioni di svago in cui sentirsi sereni e rilassati possono sembrare ben poche.


I processi alla base del flourishing sono però imprescindibili da una sola abilità che va oltre tutto questo: la consapevolezza. È necessario essere presenti, auto interrogarsi. Solo in questo modo sarà facile scorgere le emozioni e i pensieri positivi che ci passano per la testa anche quando semplicemente prendiamo un caffè in pausa lavoro con dei colleghi, o durante una telefonata con gli amici.


Da qui, grazie ad un processo a cascata non sarà difficile sentirsi anche più coinvolti nelle attività che si stanno svolgendo, scoprire i nostri valori e agire secondo essi. La massima espressione di noi stessi e del nostro potenziale che ne consegue non può che generare benessere e serenità.

Il flourishing: non solo cura ma anche prevenzione

Il flourishing e il languishing sono due processi agli estremi di un continuum. Non bisogna pensare che individui dotati di flourishing, che esercitano le abilità ad esse legate, non possano trovarsi nuovamente in uno stato di languishing proprio in quanto si tratta di un continuum e, come la pandemia ci ha mostrato, tanti fattori di cui non abbiamo il controllo possono contribuire a questo stato.


Secondo l’ottica della psicologia positiva, il flourishing è anche un fattore di protezione che agisce lungo tutto l’arco della vita. È stato dimostrato come individui dotati di flourshing abbiano una qualità di vita migliore di coloro che non esercitano tale abilità.

Questa migliore qualità di vita si riflette anche in una maggiore rendita al lavoro, minore rischio di contrarre malattie ed un minore ricorso a strutture sociosanitarie, per problemi fisici e psicologici.


Dunque, buon flourishing a tutti!

Chiara Manna per Questione Civile

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