Diritto romano tra teorie classiche ed eclettismo

Diritto romano

Le tracce dello stoicismo, del platonismo e dell’aristotelismo nel diritto romano

Alla luce di quanto si può facilmente evincere nelle precedenti disamine (clicca qui), lo stoicismo risulta confermarsi una dottrina morale limitata non solo sul piano filosofico-politico, ma anche e soprattutto sul piano gius-filosofico.

Come già affermato, i fondatori dell’antica Stoà non erano interessati in alcun modo alla questione della distribuzione dei beni e degli interessi nella comunità sociale, che invece caratterizza lo scopo ultimo del diritto.

Da qui è facilmente comprensibile la professione tipicamente stoica del totale distacco del “sapiente” dalla vita pubblica e dai ruoli politici.

Ed ancora, nota è a questo punto di indagine la totale indeterminazione di significato e di valore del termine “legge naturale” utilizzato dagli esponenti dello stoicismo antico, di base, per l’appunto, estremamente deterministica.

Con il termine “determinismo” viene identificata la ragione universale che regna sul mondo e sulla storia, una parte della quale è iscritta nella coscienza degli uomini. Questo principio assume una formulazione specificamente ed esclusivamente morale, tale da spingere gli stessi uomini alla passiva accettazione del destino.

Sulla dottrina del diritto di Marco Tullio Cicerone”
-N.4
Questo è il quarto numero della Rubrica di Area dal titolo “Sulla dottrina del diritto di Marco Tullio Cicerone” appartenente all’Area di Filosofia del Diritto

Il rapporto tra diritti e doveri nello stoicismo medio

È importante ricordare che i padri dello stoicismo medio, Posidonio di Apamea e Panezio di Rodi, da cui Cicerone attinse per la formulazione della sua dottrina nel De Officiis, in epoca romana hanno enunciato liste di doveri concreti e per i comuni cittadini, superando quindi l’approccio idealistico ed esclusivo destinato alla comprensione ed alla fruizione da parte dei soli sapienti.

Di qui, il dovere insito in tutti gli uomini, incluso gli schiavi, di rispettare la ragione, l’umanità, la sincerità, il rispetto della parola data, il rispetto degli dèi, il rispetto della pietà nei rapporti familiari.

Tutti questi doveri rimandano ad una profonda e benevola disposizione d’animo interiore, escludendo però le attività esterne degli uomini sul piano dell’attivismo politico.

La morale della media Stoà è stata determinante, poiché ebbe un’enorme influenza sulla sostanza del diritto romano dell’età classica e non solo. L’umanesimo stoico nato in quest’epoca, che evidenzia e valorizza la dignità di ogni essere umano, ha rappresentato fonte di ispirazione per i posteriori moralisti cristiani e per la filosofia morale e giuridica moderna. Questo filone ha contribuito, di fatto, a fornire una diversa percezione e considerazione della condizione dello schiavo e più in generale della schiavitù.

Si può, dunque, a ragione confermare che nell’epoca classica postaristotelica avvenne a Roma il grande contatto tra la teoria generale del diritto romano e i precetti della filosofia morale medio-stoica.

Il diritto romano e la contaminazione stoica nella sua formulazione

Ai fini di una migliore comprensione ed ulteriore evidenza della contaminazione stoica nel mondo romano sarebbe utile riprendere la definizione ciceroniana della legge di natura, in quanto presenterebbe una netta impostazione stoica.

«Est quidem vera lex, recta ratio, naturae congruens, diffusa in omnes, constans, sempiterna; quae vocet ad officium jubendo, vetando a fraude deterreat – In realtà vera legge è la corretta ragione in accordo con la natura, diffusa in tutti, costante, sempiterna, che eventualmente richiami al dovere ordinando, vietando allontani dal delitto».

Inoltre, è possibile ritrovare alcune definizioni romane del diritto naturale di base marcatamente stoiche non solo negli scritti di quest’ultimo, ma anche nel Digesto e nelle Istituzioni di Gaio, che, in questo caso, assume una grande importanza in quanto testimonianza decisiva, dal momento che risulta essere l’unica  opera della giurisprudenza romana classica pervenutaci direttamente.

La duplice forma del diritto romano: ius civile e ius gentium

Proprio per il rifiuto della speculazione nel merito delle istituzioni sociali permanenti, conseguenza inevitabile dell’antica fideistica sottomissione e accettazione della provvidenza razionale che governa gli eventi mutevoli del mondo, è ammesso ritenere che per gli stoici le istituzioni giuridiche hanno un’origine meramente storica e non possono essere accostate minimamente al concetto di diritto naturale.

A riprova di ciò troviamo la teoria giuridica romana sulla contrapposizione tra ius civile e ius gentium. Per di più, anche Ulpiano ha fornito una definizione di matrice stoica del diritto di natura, tale per cui finisce per indicare la generalità dei rapporti giuridici comuni a tutti gli esseri animati.

«Ius naturale est quod natura omnia ammalia docuitIl diritto naturale è quello che la stessa natura insegna a tutti gli esseri viventi».

Ma, a questo punto, il diritto di natura finirebbe, come sostiene M. Villey, per non concernere più i rapporti umani. Alla luce di ciò, non risulterebbe erroneo considerare che lo stoicismo abbia deviato i giuristi romani (chiusi nella prospettiva gius-positivista), dalla metodologia propria del diritto di natura di stampo classico-aristotelica alla ragione soggettiva dell’uomo e al metodo speculativo deduttivo.

Ma nonostante ciò, non è in questi elementi che possono essere rintracciate le basi dottrinali e metodologiche della scienza giuridica romana del diritto civile.

L’influenza platonica nella formulazione del diritto romano

Inoltre, nel diritto romano è possibile notare anche l’influenza platonica, oltre che stoica, anche se essa è facilmente rintracciabile a partire dal III secolo d.C., quando la riflessione filosofica ha virato verso specifici principi di derivazione platonica: “quod principi placuit legis habet vigorem” o, ancora, la celebre massima “princeps legibus solutus”.

Infatti, è proprio in quest’epoca che si è sviluppato il neoplatonismo da cui, successivamente, i padri della Chiesa, come Sant’Agostino, hanno principalmente attinto. Ciò non significa che in epoche precedenti a quella succitata il mondo romano abbia ignorato il platonismo o che non ne abbiano avvertito l’importanza. Cicerone si è ispirato proprio a Platone quando ha composto la Repubblica e le Leggi.

Inevitabilmente, però, le influenze neoplatoniche hanno spinto gradualmente il mondo romano verso l’orizzonte prospettico del diritto autoritario, basato più sull’aspetto formale che su quello sostanziale delle norme giuridiche, fornendo così maggiori assunti teoretici per la diffusione di un approccio strettamente giuspositivista.

A riprova di ciò è sufficiente citare la diffusione, nel medesimo periodo, di innumerevoli costituzioni imperiali, divenute la sola e vera fonte del diritto riconosciuta.

La collocazione della nascita del diritto romano nell’epoca ciceroniana

Ma il diritto romano come noi lo intendiamo non nasce né con lo stoicismo, né nel I o II secolo d.C., in accordo con la calendarizzazione gregoriana, né tantomeno nell’epoca del basso impero.

Dunque, a ragion di ciò, se volessimo indicare un attendibile riferimento temporale in cui il diritto romano, come noi lo intendiamo, si è costituito nella sua pienezza teoretica e con esso la scienza giuridica romana, dovremmo guardare proprio all’epoca ciceroniana, durante la quale sul mondo romano erano forti le influenze del classicismo aristotelismo e della sua particolare metodologia speculativa.

In questo periodo la diffusione dei principi aristotelici di giustizia, equità, legge, diritto naturale e con essi dell’intera dottrina filosofico-giuridica, era veramente forte, trovando maggiore applicazione nell’eclettismo romano, soprattutto ciceroniano, trattato nelle precedenti pubblicazioni.

Molti studiosi del diritto romano hanno spesso fornito un’interpretazione nel merito del tutto approssimativa e fuorviante sul piano filosofico-giuridico, finendo per acclamare i fondatori della giurisprudenza romana per il merito di aver posto alla base dello studio i rapporti sociali obiettivi, lasciando all’esterno del loro campo di ricerca il valore etico-morale dei soggetti, parte di una stessa comunità sociopolitica.

Un’analisi del diritto romano, questa, insufficiente e riduttiva. Un esempio è rappresentato da uno dei massimi studiosi del diritto romano del XX secolo, il giurista tedesco Fritz Schulz, il quale, nella sua opera principale, ha fornito una simile interpretazione.

È innegabile, tuttavia, che i giuristi romani, sulla scorta della teoresi aristotelica, siano stati effettivamente i primi a distinguere definitivamente il diritto privato dal diritto pubblico.

Le influenze aristoteliche

A tal proposito, infatti, sembra che i giuristi romani abbiano attinto proprio alla definizione e all’analisi aristotelica della giustizia.

Come già affermato in precedenza, per Aristotele essa consisteva nel “dare a ciascuno la parte che gli spetta” (ius suum cuique tribuere) e, sulla base di ciò, i giuristi romani avrebbero fatto propria non solo quest’ultima definizione, ma anche la derivazione del diritto dalla giustizia e la concezione della giurisprudenza intesa come “scienza del giusto e dell’ingiusto” (iusti atque iniusti scientia).

In altre parole, avrebbero fatto propria la concezione del diritto inteso come “ciò che è giusto”, approfondendo e sviluppando proprio la distinzione dei due campi del diritto, la distribuzione (diritto pubblico) e lo scambio (diritto privato).

Secondo M. Villey, «[i romani] se accettano di far posto a nozioni morali stoiche, come quelle di pietas, di bona fides, e di humanitas, non è che a titolo accessorio», proprio in ragione del fatto che i giuristi romani avrebbero adottato una filosofia che sapeva distinguere il “giusto” dal “moralmente onesto”, come affermato nel Digesto.

È furoi dubbio, però, che la generalizzazione dell’autore non può essere adottata per tutti i giuristi o filosofi dell’epoca romana, soprattutto per la dottrina del diritto di Marco Tullio Cicerone.

Un ulteriore elemento in cui si può rinvenire un’influenza aristotelica nella dottrina del diritto romano, è nel merito delle fonti del diritto. Infatti, secondo i romani la prima vera ed assoluta fonte del diritto non è la legge (nómos), bensì la natura.

Il diritto come giusto secondo natura

Sulla schiera del pensiero aristotelico, quindi, il diritto inteso secondo l’accezione classica consiste nella dottrina che va alla ricerca del iustum secundum natura, che basa tutta la propria giurisprudenza nel lavoro dei “giusperiti”.

Questo termine potrebbe essere adottato come traduzione letterale del termine utilizzato da Aristotele per indicare coloro che analizzano l’aderenza del nómos (legge) al dikaion (giusto).

I giuristi e i filosofi del diritto romani, dunque, hanno attinto alla dottrina aristotelica anche nel merito della legge in quanto norma scritta. Che le leggi derivino dalla tradizione giurisprudenziale, ovvero dallo ius civile (o dall’ordinamento giuridico costituito), dagli editti del pretore (che hanno forza di legge) o dal Senato (che detiene il potere legislativo), tutte debbono prescrivere e stabilire sanzioni (carattere regolativo-sanzionatorio), sempre nel quadro però del giusto naturale e dei principi aristotelici sopra enunciati.

Inoltre, come vedremo più avanti nello specifico del caso ciceroniano, dell’aristotelismo è stato ripreso in epoca romana non solo la teoria dell’equità a correzione del testo di legge o a facilitazione dell’azione interpretativa della norma scritta da parte dei giudici, ma anche l’approccio al diritto, da considerarsi non derivante dal nómos (legge), ma dal dikaion (giusto), insito nella natura dell’esistenza.

Una testimonianza della centralità di questo approccio aristotelico al diritto è testimoniato dal principio «Ius non a regula sumatur, sed ex iure, quod est, regula fiat», inserito nel Digesto.

E su questa schiera, anche l’analisi della dottrina giuridica delle leggi, in relazione alla loro conformità alla giustizia ed alla coerenza, da considerarsi non come il giusto assoluto e finito, ma come norme tendenti al dikaion, poiché solo il diritto in sé si profila come giusto assoluto (diritto di natura).

L’opera eclettica di Cicerone nella modellazione del diritto romano

Pare evidente quindi l’incombente presenza dei grandi e più importanti filoni di pensiero della filosofia greca che si manifestava con zelo a quel tempo tra le fila degli illustri filosofi, giuristi e intellettuali romani.

Il platonismo, l’aristotelismo e lo stoicismo giuridico di matrice greca hanno fornito le basi per lo sviluppo di altrettante dottrine del diritto e filosofie umaniste.

Ma è importante ricordare, ai fini di un giusto inquadramento, che esse sono state riordinate e fuse insieme dalla magistrale opera eclettica di Marco Tullio Cicerone.

Questo a dimostrazione di una nuova chiave di interpretazione della sua dottrina giusfilosofica e di una sua possibile attualizzazione, al fine di poter apportare un seppur minimo contributo all’interpretazione e alla discussione sul problema della giuridicità contemporanea, sottoposta ad un’errata percezione e considerazione da parte di una buona parte dei filosofi del diritto contemporanei.

Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile

Bibliografia

Parte degli articoli pubblicati nel presente archivio sono estratti del mio lavoro sperimentale dal titolo “Lo Stoicismo giuridico di M. T. Cicerone”, che rientra nell’area scientifico-disciplinare della filosofia del diritto, completata il 20 marzo 2020.

Uno dei principali testi che ho adottato per la ricerca, lo studio e la stesura del lavoro è “La formazione del pensiero giuridico moderno” (1986, Editoriale Jaca Book spa, Milano) di M. Villey.

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