Tolkien letterato: la filologia della Terra di Mezzo

Tolkien letterato

Tolkien letterato: come la filologia ispirò una delle saghe più famose di tutti i tempi

Dietro il Tolkien scrittore e romanziere si nasconde un meno noto Tolkien letterato e linguista. Mentre creava il mondo della Terra di Mezzo, il Tolkien letterato dava sfogo e lustro alla sua conoscenza filologica. Quando a Tolkien fu rifiutato il Nobel per la Letteratura per via della prosa piana e semplice, forse l’Accademia di Stoccolma non aveva considerato l’enorme lavoro linguistico che la saga da lui creata nascondeva.

Nato a Bloemfontein, in Sudafrica, il 3 Gennaio 1892, Tolkien conduce sin da subito la sua vita in un mondo popolato di leggende e narrazione. La madre, Mabel Sufflield, infatti, gli trasmette la passione per le fiabe e le lingue straniere che segnerà tutta la sua formazione intellettuale.

Dopo una breve parentesi di studi in casa, sotto la guida di Padre Francis Xavier Morgan, cattolico appartenente all’Ordine degli Oratoriani, la formazione del giovane Tolkien prosegue, finalmente, in città. È a Birmingham, infatti, che comincia a dimostrare una straordinaria inclinazione per l’apprendimento delle lingue che lo condurrà a dominare il Greco, il Latino, il Finnico, l’Islandese ed il Gotico.

Nel 1911 riesce ad ottenere una borsa di studio che gli permette di studiare presso l’Exter College di Oxford. È qui che fonda il Tea Club and Barrovian Society (club del tè e società Barrovian) all’interno del quale compirà i primi passi nella composizione fantastica con il Book of the Lost Tales, primo nucleo del suo universo mitologico, e nella sperimentazione linguistica, ponendo le basi per un idioma nuovo: la lingua degli elfi.

Tolkien: un viaggio tra storia, arte e mitologia
-N.6
Questo è il sesto numero della Rubrica di Rivista dal titolo “Tolkien: un viaggio tra storia, arte e mitologia” che vede la collaborazione tra le Aree di Storia Antica e Medievale, Lettere, Arte, Cinema e Storia Moderna e Contemporanea

Tolkien letterato: la carriera accademica

Dopo la traumatica esperienza bellica, Tolkien fu ordinario di antico inglese dal 1925 al 1945 e di lingua e letteratura inglese dal 1945 al 1959 presso l’Università di Oxford. Furono questi gli anni più importanti per la sua carriera di filologo, linguista e letterato. Ad Oxford contribuì alla stesura del new Oxford English Dictionary e, poco dopo, assieme a C. S. Lewis (suo amico intimo e considerato assieme a George MacDonald e Tolkien stesso il fondatore del genere fantasy) fu membro del gruppo letterario noto come Inklings all’interno del quale videro la luce capolavori come Il Signore degli Anelli e Le Cronache di Narnia.

Il vizio segreto di Tolkien: l’animalico

La sua profonda conoscenza degli idiomi – soprattutto indoeuropei -, della sintassi e della grammatica antica e moderna, condusse Tolkien a sviluppare sempre di più quello che egli stesso descrisse come Il vizio segreto (titolo di uno dei saggi pubblicati nella raccolta Il medioevo e il fantastico), ovvero la composizione di nuove lingue.

Nel saggio, Tolkien si esprimeva a favore della creazione di un’Arte Nuova o, meglio, di un Gioco Nuovo, che non a caso era nato dalla sua infanzia e che, in un certo senso, aveva garantito la sopravvivenza di quell’arditezza, di quel genio inconsapevole che hanno solo i bambini che gli permisero di creare quei capolavori linguistici e narrativi di cui oggi discutiamo.

Tale capacità non era nata, infatti, a seguito degli studi sempre più approfonditi condotti dal letterato, ma si era presentata come gioco sin dall’infanzia. Intorno ai dodici anni Tolkien apprende l’animalico, il linguaggio segreto inventato dalle sue cugine Mary e Marjorie Incledon. Esso consisteva nel comunicare utilizzando solo nomi di animali e numeri; così, utilizzando l’unico esempio di animalico pervenutoci, “Cane usignolo picchio quaranta” (“Dog nightingale woodpecker forty”) voleva dire “Tu sei un asino”.

Il nevbosh e la ricerca della musicalità

Scontentatosi, alla lunga, di questo linguaggio che definì crudo all’estremo, Tolkien aiutò le giovani cugine ad inventarne uno nuovo, il nevbosh. Quest’ultimo era composto con parole inglesi, latine o francesi (lingue già tutte dominate dal piccolo Tolkien) modificate o invertite. Il nevbosh, che stava proprio per nuovo nonsense, rappresentava il primo esempio di lingua pensata per intero dal giovane romanziere e, rispetto al primo nonsense inventato dalle cugine, già portava il segno della caratteristica sempre ricercata dallo scrittore: la musicalità.

Mel suo saggio Inglese e gallese, Tolkien raccontando del suo primo incontro col gallese, ricordava di aver letto su di una lapide l’iscrizione Adeiladwyd 1887, ovvero costruito nel 1887. Ne restò folgorato. Da quel momento in poi il suo interesse per le lingue crebbe esponenzialmente e fra di esse il gallese rimase una fonte costante di suoni e lessico da riprodurre.

I compagni di Tolkien nel Gioco Nuovo

Man mano che coltivava il suo vizio segreto, Tolkien si rese conto di non essere solo. Nelle più improbabili situazioni egli trovava gli adepti timidi e nascosti del Gioco Nuovo. Egli spiega, ad esempio, come sia stato preso da uno stupore incontenibile quando “sotto un tendone lurido e soffocante di umidità, ingombro di tavolini a cavalletto che puzzavano di grasso di montone rancido e gremito di personaggi (in maggioranza) depressi e bagnati fradici […] ad ascoltare un seminario sulla lettura delle carte geografiche” sentì un ometto dire in tono sognante: “Sì, credo proprio che esperimenterò l’accusativo con un prefisso!”

Tolkien non vide in quell’ometto lo spirito rigoroso di un semplice filologo, ma riconobbe la stessa scintilla creativa che aveva portato lui a mettere appunto il nevbosh, antenato della selva di lingue e che popoleranno Il Signore degli Anelli. Il romanziere osserva, infatti:

“nella sua scelta non si riscontravano considerazioni come quella della «praticità», la più semplice e adatta alla «mentalità moderna», o del guadagno; era solo una questione di gusto, di soddisfazione per il proprio piacere personale, per essere riuscito a trovare un senso privato e individuale di adeguatezza.”[1]

La filologia dietro la Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien

Eppure, è necessario riconoscere un certo rigore dietro il genio sregolato della composizione. Sin dai suoi primi esempi di creazione linguistica, spiega Tolkien, è possibile riscontrare due meccanismi etimologici di cui il romanziere stesso prende maggiore consapevolezza con l’avanzamento dei suoi studi e della sua abilità.

Come in ogni lingua esistente – o esistita – anche in quelle inventate niente si genera ex vacuo (“dal vuoto”, “dal nulla”), ma esiste una coppia di fenomeni che forgia nel tempo il nuovo linguaggio: l’invenzione, che riguarda quelle parole nuove che arricchiscono l’espressione umana nel contesto della creazione di un nuovo idioma; e l’adattamento, che, invece, eredita da una lingua già esistente gruppo fonemici esistenti (sillabe, lettere etc.) riadattandone il suono secondo un principio già evidenziato sopra come particolarmente caro a Tolkien che lui chiama predilezione fonetica, ma che noi abbiamo ribattezzato, più semplicemente, musicalità. In poche parole si plasmano nuove parole in base alla bellezza del loro suono.

Ogni buon filologo sa che tutte le nuove lingue nella loro formazione sperimentano tale componente di gusto da parte dei parlanti che la usano; fino a che non interviene una grammatica precisa a regolamentarle. Così anche per Tolkien, partire dal semplice e melodico nevbosh, cominciarono a svilupparsi le lingue elfiche con una vera e propria grammatica. Dal Silmarillion queste lingue confluirono poi, in parte, ne Il Signore degli Anelli.

Il rigore filologico del Tolkien letterato rimasto senza premio

Il rigore filologico del professore di Oxford così andò a rafforzare la musicalità delle sue invenzioni; si rifece in parte anche alle lingue antiche come il greco, il latino o l’indoeuropeo. Ad esempio, nel Telerin, lingua dei teleri gli elfi che erano rimasti ad Aman, nelle terre immortali, viene regolamentato la formazione del plurale, del presente e del passato, ma vengono recuperati anche il genitivo (caratteristici del latino e del greco) e l’allativo (il caso di moto verso luogo esterno conservato nell’ittita, del finnico, nel basco e nell’ungherese).

Insomma, il genio e la sregolatezza nell’opera di Tolkien si fondono tra rigore filologico e una conoscenza troppo vasta da essere approfondita in un’unica sede. Eppure, la nostra breve storia ha un finale amaro. Quando nel 1961 C.S. Lewis propose Tolkien per il Premio Nobel la giuria scartò il suo lavoro senza scandagliarlo troppo. La motivazione? Il suo stile venne definito prosa di seconda categoria.

Noemi Ronci per Questione Civile

Bibliografia

Tutte le precedenti citazioni, ove non indicato altrimenti, sono tratte dal saggio Un vizio segreto, contenuto all’interno della raccolta Il medioevo e il fantastico di J.R.R. Tolkien, Luni Editrice – Milano, Trento, 2000.

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