I riti tra elaborazione e memoria: la loro importanza

I riti

I riti: ponte tra presente e futuro

Nell’articolo precedente (per saperne di più, clicca qui) abbiamo fatto un viaggio attraverso la storia e il culto del Milite Ignoto. Abbiamo raccontato della necessità di dare sepoltura e di rendere omaggio ai tanti dispersi della Grande Guerra, i cui corpi erano per lo più distrutti e irriconoscibili.

“La Morte e i culti della Memoria”

-N. 3

Questo è il terzo numero della Rubrica di Rivista dal titolo “La Morte e i culti della Memoria”, che vi farà scoprire gli aspetti più particolari delle tradizioni legate al culto e alla morte nelle varie culture del mondo. La Rubrica vede la collaborazione tra le Aree di Archeologia, Cinema, Lettere, Filosofia del Diritto, Storia Moderna e Contemporanea, Storia Antica e Medievale, Affari Esteri, Arte, Filosofia Teoretica, Scienze Umane e Scienze

Come qualcuno avrà già potuto evincere, la scelta e la costruzione di questo Eroe nasce anche dalla necessità di compiangere e di mettere un punto alla storia di tutti coloro che partirono per la guerra ma che non fecero mai ritorno. Infatti, tanti figli, mariti e fratelli furono dispersi in guerra ma le famiglie, non avendo un corpo da compiangere, non riuscivano a trovare pace. Oltre alla necessità di rendere omaggio ai caduti per la Patria, c’era bisogno di qualcos’altro, di un rito.

Esso doveva sostituire il processo del funerale e della sepoltura, che non era possibile realizzare per ognuno dei caduti e che avrebbe permesso a queste famiglie di elaborare la perdita.

Questo fu lo scopo della cerimonia in cui la madre si trovò a scegliere tra le 11 bare. Ma il dolore non riguardava solo quella donna: il dolore era condiviso dall’Italia intera e infatti la bara, una volta scelta, viaggiò per tutta l’Italia con lo scopo di dare conforto a chiunque avesse perso per sempre qualcuno in guerra. È proprio dal culto del milite ignoto che partirà il viaggio di oggi alla scoperta dell’importanza dei riti.

L’elaborazione del lutto

I riti aiutano le persone che hanno subito una perdita ad andare avanti, ad elaborare il loro lutto. L’elaborazione del lutto è un processo complicato che passa attraverso cinque fasi, definite in psicologia dal modello di Kübler Ross.
La prima di queste è la negazione.

La perdita di una persona pone chi resta in uno stato di shock, che nei casi più estremi può diventare dissociazione e che spinge a negare l’accaduto.

La seconda fase è caratterizzata da uno stato di rabbia. In particolare, la rabbia viene rivolta verso terze persone incolpandole e provando un forte sentimento di ingiustizia per quanto accaduto.

La terza fase consiste in un tentativo di contrattazione, in cui chi resta inizia a fare un bilancio della propria vita e delle proprie risorse allo scopo di capire cosa può fare. In questa fase, possono essere coinvolte anche terze persone su cui spendere le proprie energie e i propri stati emotivi.

Questa terza fase è già una fase più attiva per ‘’coloro che restano’’ in quanto l’attenzione non è più solo focalizzata sulla persona perduta e sul dolore associato a questa perdita, ma ci si concentra anche sulle proprie emozioni. Questo non significa che in questa fase il lutto è risolto e la persona sta meglio, anzi. La fase successiva, infatti, è quella della depressione.

Dalla depressione all’accettazione: le ultime fasi del modello

Il termine “depressione” non è qui usato nella sua accezione patologica, ma più con riferimento a sentimenti e vissuti negativi, di tristezza e di colpa, che sono normali quando si affronta un lutto. In questa fase, chi resta prende coscienza della perdita che ha subito. In alcune varianti del modello di elaborazione del lutto, viene inoltre distinta una depressione reattiva ed una depressione preparatoria.

Nella prima, la persona prende atto che con la perdita della persona scomparsa sono scomparsi anche alcuni aspetti, vissuti, emozioni di sé. Viene dunque vissuto anche un lutto per una parte, per un ruolo di sé sessi. Nella depressione preparatoria invece, vi è una vera e propria presa di coscienza del fatto che ribellarsi al lutto non è possibile.
L’ultima fase è quella dell’accettazione: si accetta la perdita e si ricomincia con la propria vita.

Appare chiaro come questo modello non si applichi solamente alla perdita di una persona in quanto defunta ma anche alla perdita di qualcuno con cui si è interrotto un rapporto o alla fine di una fase della propria vita. Infatti, il modello a 5 fasi appena descritto è stato successivamente utilizzato ed esteso nella letteratura psicologica ai malati terminali, i quali si trovano a dover confrontarsi e infine accettare la fine della propria vita.

Il lutto sospeso

In questo complesso processo, i riti hanno un ruolo fondamentale in quanto aiutano a scandire il tempo dalla perdita e aiutano anche in parte il passaggio alle varie fasi dell’elaborazione del lutto.

Tornando alla storia del milite ignoto, la madre, le mogli e i figli che avevano perso i rispettivi cari in guerra mai avrebbero potuto superare la perdita, andare avanti e integrare nella loro psiche la memoria della persona amata senza l’aiuto di un rito. In psicologia, si parla di lutto sospeso quando chi resta non completa le fasi del lutto che abbiamo descritto. Un altro termine usato come sinonimo di questo stato è quello di lutto irrisolto, e indica proprio la difficoltà di chi resta ad andare avanti.


Il lutto sospeso è in realtà un vissuto più comune di quanto si immagini al giorno d’oggi. Infatti, si verifica per tutte quelle persone che si trovano ad affrontare la scomparsa di una persona cara e vivono appunto uno stato di sospensione, quasi dissociativo. Queste persone non riescono ad andare avanti in quanto non sanno se la persona scomparsa è andata via di sua volontà, se sta bene o se gli è capitato qualcosa. Non di rado, sperano di trovare un corpo così da mettere fine alla loro sofferenza e di poter procedere con l’elaborazione della perdita.

La vicinanza dei riti

Un aspetto trasversale alle fasi del modello nei riti è la vicinanza. In quasi tutte le popolazioni e culture diventano fondamentali la vicinanza e la condivisione del dolore con gli altri appartenenti all’intero contesto culturale. La condivisione di ricordi ed esperienze passate trasforma il dolore da individuale a collettivo. La vicinanza diviene fondamentale per l’elaborazione della perdita. In alcune culture, l’espressione di questa vicinanza è scandita da veri e propri riti. In alcune culture, un rito comune è quello di donare cibo. Questa usanza sembrerebbe fatta risalire al fatto che la scomparsa del capofamiglia può portare povertà e si cerca di aiutare la famiglia ad ‘’andare avanti’’.

In realtà, questo è un rito che viene svolto indipendentemente dalla persona che viene a mancare. Ciò accade perché il rito è ormai così consolidato da aver perso quello che era un significato legato ad un altro tempo storico.


È anche vero però, che il cibo in particolare riveste un significato ampiamente sociale. Sono tantissime le occasioni in cui per festeggiare ci si riunisce intorno ad una tavola, ed è per questo che il cibo sembra essere il rito perfetto per mostrare vicinanza a qualcuno. Ciò è anche dimostrato dal classico rito funebre americano, al quale è solito il susseguirsi di un ampio buffet.

I riti come rappresentazione

È chiaro, a questo punto, come i riti vadano percepiti come un percorso che aiutano chi ha perso qualcuno nel processo di riadattamento.

Tuttavia, dal punto di vista psicologico e antropologico i riti hanno anche un altro significato. Basti pensare non solo al rito funebre, ma anche alle varie cerimonie che si svolgevano nel passato, e in alcune culture ancora oggi. Essi potevano essere propiziatori, volti ad ottenere qualcosa. Insomma, il rito diventa anche un modo per “ingraziarsi” le divinità dal punto di vista religioso, divinità che a volte possono spaventare.

E cosa può essere più spaventoso del non sapere? Non sapere cosa c’è dopo la morte, cosa accadrà a chi non c’è più. È la più antica domanda degli esseri umani. I riti assolvono dunque anche questa funzione: non solo aiutare chi resta ma aiutare e accompagnare anche chi se ne va. Viene chiesta pietà e misericordia per il defunto.

Ciò è evidente se pensiamo alle usanze di alcune civiltà antiche del seppellire il defunto con degli oggetti di valore, o le classiche monete sugli occhi, che servivano per pagare il passaggio a Caronte verso l’aldilà. Anche la preghiera, insieme a tutto il rito funebre, svolge questa funzione. Secondo un’antica credenza Cattolica, infatti, le preghiere sono in grado di velocizzare il passaggio all’aldilà del defunto. Siamo nuovamente di fronte ad un tentativo di proteggere il defunto, di sentirci in grado di fare qualcosa per lui e per noi.

Dopo i riti, la memoria

La protezione e il rispetto verso il defunto si realizza anche attraverso altri riti nelle civiltà moderne, ad esempio quella di coprire gli specchi proprio per proteggere l’anima del defunto che, uscendo dal corpo, potrebbe restarne intrappolata per sempre. O ancora, in alcune regioni è usanza lasciare del pane e dell’acqua la notte della veglia funebre in attesa che il defunto torni a far visita per l’ultima volta a casa sua. Ancora una volta, il cibo assolve un valore simbolico di accoglienza.
Tornando al modello dell’elaborazione del lutto, si evince come tutti questi sforzi siano un tentativo da parte di chi resta di gestire la perdita e di arrivare alla sua definitiva accettazione.

Emerge così, come i riti siano fondamentali ad aiutare le persone nell’elaborazione della perdita. I riti sono diversi in base alla cultura e alla religione di appartenenza, ma hanno sempre fatto parte della storia dell’umanità. Erano già presenti nelle popolazioni primitive, si sono evolute con la storia fino ad arrivare ai giorni nostri e quelli più primitivi vengono tutt’oggi ritrovati nelle tribù, ad esempio gli indiani d’America.

Basti pensare ancora all’attenzione che gli Egizi ponevano nella realizzazione delle piramidi e ai processi di mummificazione e tumulazione dei defunti. Questi riti variavano e variano consistentemente nelle culture, ma sono uniti dallo stesso scopo. Tale scopo è sicuramente quello di ricordare il defunto, colui che è stato perso. Ma questo è solo un macro-obiettivo in quanto nel processo di ricordo tante piccole tappe sono scandite, come abbiamo visto.


Solo a completamento di questi riti e del processo di elaborazione del lutto, ha luogo la fase della memoria e del ricordo. La fine del rito e l’elaborazione del lutto non significano dimenticare chi abbiamo perso, ma rendere loro parte di noi e della nostra vita seguente.

Chiara Manna per Questione Civile

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