“The most beautiful boy in the world”: un viaggio nella fanatica oggettificazione della bellezza nel cinema
“The most beautiful boy in the world” è il racconto di una bellezza “pericolosa”: il documentario percorre la vita di Björn Andrésen, l’attore svedese scelto per interpretare uno dei ruoli più iconici e idealizzati nella storia del cinema.
Visconti e la ricerca della bellezza perfetta
“Morte e Venezia” di Luchino Visconti è uno dei film più amati degli anni ‘70. La pellicola è tratta dal celebre romanzo dell’autore tedesco Thomas Mann, “La morte a Venezia” (1912). L’opera narra la storia di Gustav von Aschenbach, uno scrittore che, raggiunti gli anni della sua maturità, decide di partire per un viaggio a Venezia. Qui, il protagonista adocchierà un giovanissimo ragazzo polacco che entrerà nei suoi pensieri, monopolizzando tutta la sua attenzione: il dodicenne Tadzio, difatti, rappresenta l’ideale di bellezza greca, ricercata e perduta nel tempo, una perfezione estetica a cui Aschenbach aspira da sempre. Biondo, aggraziato, marmoreo e bellissimo. Un tipo di avvenenza efebica che è in grado di suscitare nel protagonista un’ossessione platonica.
Deciso a rimanere fedele alla descrizione dettagliata del personaggio di Tadzio, Visconti viaggia in tutta l’Europa del Nord, alla ricerca dell’attore perfetto. Arrivato a Stoccolma, la sua odissea giunge al termine quando si scontra con l’eterea bellezza del quindicenne Björn Andrésen. È su di lui che si incentra il toccante documentario “The most beautiful boy in the world”, presentato al Sundance Film Festival del 2021.
La pellicola si apre con un incipit davvero significativo a farci comprendere il messaggio dell’intera narrazione: il primo provino di Björn. Il video del primo provino dell’allora quindicenne Andrésen era stato mostrato anche nel documentario “Alla ricerca di Tadzio”(1970). Tuttavia, solo nel più recente prodotto emergono dettagli che fanno riflettere lo spettatore sull’inappropriatezza di alcune radicate dinamiche interne che caratterizzano il cinema contemporaneo. Nel provino appare un ragazzino timido, fragile, profondamente a disagio, incosciente dell’ambiente in cui si trova, pressato dagli occhi giudicanti e dagli apprezzamenti plateali del regista. Il disagio del giovane Björn aumenta fino a provocare vera e propria angoscia nello spettatore, quando Visconti, senza mezzi termini, gli ordina di spogliarsi.
Il successo planetario, l’abuso e l’idealizzazione della bellezza immortale
In seguito al “non provino” di Björn, quest’ultimo, senza alcun tipo di esperienza attoriale, viene scelto esclusivamente per il suo aspetto. Visconti, da regista cinematograficamente innamorato della bellezza che buca lo schermo, lega a sé il ragazzo. Sfrutta il suo corpo giovane e bello, consacrandone la perfezione assoluta. Il regista conosce il senso di soccombenza che si prova dinnanzi alla bellezza altrui, quella che non lascia scampo.
Da quel momento in poi, la vita di Björn cambia irreversibilmente, venendo invasa da una fama non richiesta e sgradita, pregna di fanatismo. “Morte a Venezia” partecipa al festival di Cannes, nel quale Visconti presenta Björn al mondo come il “ragazzo più bello del mondo”. L’appellativo fa il giro del globo, e la vita di Andrésen viene stravolta, senza che lui possa assumerne il controllo: tutti i riflettori sono puntati su di lui, idolatrano la perfezione della sua immagine, considerata intoccabile e immortale.
La sensazione che la propria vita appartenesse a qualcun altro, l’immensa popolarità globale, l’abuso della sua immagine fisica, hanno segnato profondamente Andrésen. L’idealizzazione di un corpo, reso oggetto e privato di qualsivoglia connotazione umana e profondità psicologica, è l’emblema di una venerazione fanatica e dannosa. L’enorme mercificazione dell’immagine di Björn lo porta sino in Giappone, uno dei luoghi in cui tale fenomeno è giunto all’estremo: non a caso, Björn ha ispirato la maggior parte dei modelli bishonen dei manga che conosciamo oggi, tra cui la celebre Lady Oscar. Come se non bastasse, nel documentario vengono rievocati, da un Björn ormai sessantenne, episodi in cui Visconti lo ha portato in locali gay senza il suo consenso. In quel turbolento periodo, la propria bellezza viene percepita da Björn come una condanna, come un peso di cui liberarsi: “non vedevo l’ora di invecchiare, per non essere più guardato” dice in un’intervista.
La bellezza che muore, l’eredità lasciata dalla fanatica oggettificazione
Non ho trovato soddisfazione nell’essere un’icona […] Ai giovani che ambiscono a diventare famosi direi “Lascia perdere, a meno che non ti serva a sviluppare qualche tuo talento” […] I miei problemi non nascono dal ruolo, ma dalle conseguenze nella società. È stato un incubo.
Queste sono le dure parole del Björn di oggi, un uomo ferito, bensì maturo e consapevole. “The most beautiful boy in the world” è un viaggio toccante lungo tutta la vita frastagliata di Andrésen. Il documentario indaga soprattutto le terribili conseguenze dell’esplosione mediatica di cui è stato vittima il protagonista, portandoci a riflettere sulle falle della macchina cinematografica odierna.
L’ascesa e la fama del volto di Tadzio hanno portato alla deriva esistenziale e sociale di Andrésen. Da una giovinezza all’insegna di una passività estraniata, fino al matrimonio disastroso, alla perdita di un figlio neonato, alla solitudine autoimposta nella vecchiaia. Solo a distanza di cinquant’anni, Björn Andrésen riesce a guadagnarsi, finalmente, la scena da individuo. La sua storia è potente quanto dolorosa, e si può accordare al recente movimento MeToo, di cui Andrésen può considerarsi un predecessore al maschile. Tale movimento femminista nasce nel 2017, principalmente contro la violenza sul posto di lavoro subìta dalle attrici; tuttavia, si fa carico anche di denunciare gli abusi dello star system in tutte le sue declinazioni. Non a caso, la biografia di Björn è un atto d’accusa. Una condanna contro un’industria e un sistema di potere che sfrutta e mercifica i corpi, rendendoli immagini senza spessore, immateriali e imperituri, al servizio incondizionato dell’arte.
Fortemente emblematica del dramma che ha portato Björn a vivere la propria vita come un estraneo, mai come protagonista, è una nota frase dello stesso Visconti:
Posare gli occhi sulla bellezza equivale a posare gli occhi sulla morte.
Esempi similari: una problematica radicata e in evoluzione
Sfortunatamente, Björn Andrésen non è stato il primo, né l’ultimo giovane attore ad essere fanaticamente idealizzato e idolatrato dallo star system. Molti altri, come lui, sono stati vittime inermi di un processo che li ha resi delle figure fortemente sessualizzate e svuotate di ogni forma di umanità.
Un caso ancor più famoso e conturbante è quello di Shirley Temple: la bellissima enfant prodige del cinema degli anni ‘30, schiava di un sistema tossico che le ha letteralmente “vietato” di crescere quando era solo una bambina. Un esempio molto simile a quello di Björn e quasi suo contemporaneo, invece, lo ritroviamo nel mito creato intorno al personaggio del compianto River Phoenix. Un animo fragile, introverso e solitario come Andrésen. A River, tuttavia, è spettata una sorte peggiore: l’attore ha amaramente pagato le conseguenze della sua bellezza angelica e di un’enorme fama ottenuta in giovanissima età, morendo di overdose a soli ventitré anni. Come i sopracitati, molti altri hanno subìto e stanno subendo gli effetti dell’oggettificazione e dell’alienazione a cui li ha sottoposti la fama.
La storia di Andrésen insegna che la bellezza, per quanto innocente, non sempre mantiene la stessa innocenza nei desideri che produce. Seppur messa al servizio di una nobile forma d’arte, quale è la cinematografia, sotto il predominio dell’industria cinematografica resta un’arma a doppio taglio. Il cinema è in costante evoluzione, così come il sistema che lo domina e lo muove, forgiando nuovi volti, nuovi personaggi e identità fittizie. Motivo per cui la mercificazione della bellezza subirà continui mutamenti, specialmente con la sempre maggior diffusione dei social media. Fortunatamente, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, anche la sensibilizzazione subisce un progresso cospicuo: i messaggi che vengono lanciati dalle personalità di spicco del momento hanno prevalentemente lo scopo di insegnare alle masse a considerare i loro idoli esseri umani.
Alice Gaglio per Questione Civile
Bibliografia e sitografia
Kristina Lindström e Kristian Petri, The most beautiful boy in the world, Wanted Cinema, 2021.
Luchino Visconti, Alla ricerca di Tadzio, Rai, 1970.
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