CGI: la rivoluzione nel grande e piccolo schermo

CGI

Un nuovo modo di concepire la CGI anche nelle serie tv della nuova generazione

La CGI (Computer-Generated Imagery) indica una branca della computer grafica 3D adoperata in ambito cinematografico e videoludico per la creazione di effetti speciali. Il risultato finale, a differenza di quello visibile attraverso appositi occhiali 3D, consiste nella produzione di un effetto tridimensionale dei modelli (umani e non) all’interno di una scena virtuale. La tecnica, ritenuta poi efficace, è ancora oggi applicata anche nel settore ingegneristico, scientifico e commerciale per la creazione di appositi brand pubblicitari che catturino l’attenzione del consumatore.

L’applicazione della CGI dagli anni ’70 a oggi

Una prima sommaria applicazione della CGI è stata effettuata negli anni ‘60: fu però nel corso degli anni ‘70 che vennero fuori i primi risultati grazie alla produzione del film “Il Mondo dei Robot”, che ispirò la serie “Westworld” con protagonisti, tra i tanti, Anthony Hopkins, Ed Harris e Evan Rachel Wood. In quel caso la CGI è stata applicata su un androide interpretato dall’attore russo Yul Brynner. Un altro esempio di CGI, nel cinema novecentesco, compare in “Tron” (1982) e in “Abyss” (1991), utilizzata prevalentemente per animare l’acqua.

Oggi, a differenza dei primi anni del suo sviluppo in campo cinematografico, l’uso che migliaia si registi e sceneggiatori fanno della CGI sembra essere spropositato e, a tratti, forzato per rendere il prodotto finale accattivante e d’impatto. La tecnica è stata chiamata in causa in maniera asfissiante soprattutto a partire dai remake dei classici Disney, alcuni dei quali di matrice burtoniana (è il caso di “Dumbo”) o per le serie tv Marvel: “She-Hulk: Attorney at Law” ne è un esempio calzante o, ancora, “WandaVision”.

Oggigiorno il richiamo alla CGI anche in situazioni sceniche che richiedono alternative al 3D appare come un espediente di normale amministrazione che, alla lunga, passa poi inosservato perdendo non solo il valore in sé, ma anche l’efficacia.

Il caso “She-Hulk: Attorney at Law”

La serie con protagonista l’omonimo personaggio Marvel interpretato da Tatiana Maslany, in onda su Disney+ già dallo scorso 18 agosto 2022, è stata oggetto delle critiche più disparate da parte dei fan maggiormente legati al Marvel Cinematic Universe.

Per quanto l’ideatore, la statunitense Jessica Gao, abbia cercato di inscenare tutte le peculiarità proprie della CGI, i risultati ottenuti hanno impattato in maniera piuttosto negativa sugli spettatori che, dal terzo dei nove episodi (momento in cui She Hulk entra nell’ufficio di Nikki Ramos), hanno mosso le prime critiche definendola “peggio di una cutscene di GTA”: a far da padrona proprio la scarsa qualità tecnologica.

In una recente intervista il supervisore degli effetti Shannon Justinson si è espresso in merito ai lavori compiuti per cercare di rendere in maniera più apprezzabile possibile la CGI nella nuova serie firmata Marvel.

“Per She Hulk eravamo davvero entusiasti che fosse la performance di Tatiana. Il nostro unico obiettivo era quello di non inquadrare il suo viso. È fantastica. Vuoi tutte quelle prestazioni. E così, ovviamente, indossava un completo mo-cap, che le rende le prestazioni fisiche e corporee. E poi, aveva un HMC o quella che chiamiamo una telecamera montata sulla testa che registra tutti i punti. Questi punti poi vengono convogliati in un sistema che può leggerli e tradurli in movimenti facciali”.

A fare eco alle parole di Justinson anche la presidente dei Marvel Studios per la fisica Victoria Alonso, che ha spiegato:

“Abbiamo fatto tutto. Abbiamo fatto mo-cap, abbiamo catturato il viso, abbiamo fatto in modo che Tatiana fosse presente in tutte le riprese e una controfigura si occupasse delle animazioni tracciate dalla motion capture. Tatiana ha la sua struttura, ed è abbastanza diversa da quella che è She-Hulk. Ci siamo dovuti sforzare tanto anche per addomesticare ciò che Tatiana ha fatto in She-Hulk in modo tale che si sentisse all’interno del personaggio e non diventasse una caricatura”.

CGI

Teorici sulla CGI

La CGI altro non è altro che il frutto di un cambiamento in ambito cinematografico determinato proprio dall’avvento del digitale. A tal proposito Lev Manovich, scrittore statunitense e docente del Computer Science Program al City University di New York, attraverso attenti studi ha potuto constatare che l’utilizzo di programmi computerizzati favorisce la realizzazione di sequenze senza la necessitò delle riprese dal vivo. In questo modo prende campo la produzione di immagini pixellate che intensificano la differenza, già profonda alla base, tra immagine analogica e digitale. Secondo l’esperto americano si ha quindi una rivalutazione della macchina da presa utilizzata come un vero e proprio “pennello cinematografico”.

Secondo il critico cinematografico francese André Bazin con la CGI si perde il legame tra cinema e realtà. Quest’ultima, in altri termini, viene manipolata dalle nuove tecniche che influiscono sulle due fasi cruciali del cinema: la produzione e la post-produzione.

In questo caso si verifica anche un’inversione della relazione tra spettatore e spettacolo dal momento che la telecamera che inquadra la scena filtra direttamente la realtà materiale. Il cinema contemporaneo entra quindi in un universo diverso in cui ciò che è irrealizzabile appare realizzabile.

La CGI e lo spettatore

Allo spettatore, di rimando, vengono offerti nuovi stimoli visivo-percettivi e cambia la sua posizione da passiva ad attiva, modificando la visione proprio con l’immaginazione. Un altro aspetto che viene inevitabilmente modificato è la credibilità. Con l’immagine virtuale si ha infatti una diversa enfatizzazione della natura illusoria e artificiale del cinema. In altre parole la realtà “filmabile” e la virtualità “filmata” sono sottoposte ad una scissione che influisce in maniera più o meno negativa (secondo un punto di vista oggettivo) l’aspetto culturale del “fare cinema”.

Nascono quindi nuove modalità di percezione che garantiscono allo spettatore di vivere una nuova esperienza cinematografica. Ciò che ne viene fuori è in primo luogo un legame comunicativo del tutto nuovo tra cinema e pubblico che fa leva sulla dimensione percettiva. Poi si ha anche l’incremento della spettacolarizzazione che influisce sulle emozioni del pubblico creando un senso di stupore (il caso di “Jurassic Park” ne è un esempio).

CGI

Francesco Tusa per Questione Civile

Riferimenti sitografici

www.sagrafica.it

www.eurogamer.it

www.techgeneration.it

www.lascimmiapensa.com

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