STEM, femminile plurale: i dati delle discipline in Italia

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Le discipline STEM in Italia coprono solo il 24,5%, scarseggiano le donne

In Francia, Regno Unito, Germania e Spagna, la situazione non è certamente migliore, ma la percentuale di donne coinvolte in studi scientifico-tecnologici (le così dette STEM) è ancora troppo bassa in Italia. In un Vecchio Continente che si fa sempre più femminile (il primo gennaio 2020, in UE, le donne erano 229 milioni, mentre gli uomini 219 milioni), le donne sono ancora “relegate”, se così vogliamo leggere il fenomeno con gli occhi della contemporaneità, a studi umanistico-artistici.

Basti guardare ai numeri delle immatricolazioni sul territorio nazionale alle facoltà di Ingegneria, Chimica, Matematica e Fisica – per citare le più proverbiali nell’immaginario comune – per rendersi conto che la “quota rosa” delle iscritte è bassissima.

L’Italia, paese dei balocchi, senza iscritte STEM

Secondo la società Deloitte, però, il problema non sarebbe solo di divario di genere, ma starebbe nel calo complessivo di lauree nelle discipline STEM, a tal punto che, solo in Italia, più della metà su dieci aziende non sono riuscite sempre a trovare candidati con formazione scientifico-tecnologica.

L’Italia è il Paese, secondo un antico cliché, dell’Umanesimo, delle Belle Lettere, dei dipinti di Leonardo, delle statue di Michelangelo, delle cattedrali e dei palazzi di governo rinascimentali, barocchi, rococò. Insomma, il Paese del canto, della poesia, della bellezza, al punto tale che, secondo un’indagine ISTAT, dagli italiani è avvertito come più grave non sapere chi fosse Giotto o una data storica della storia mondiale o nazionale, piuttosto che non conoscere la formula del volume della sfera o della gravità.

Sicuramente, non riconoscere e non conoscere la storia italiana, europea, mondiale, declinata nelle sue manifestazioni artistiche più diverse (dipinti, poemi epici, canzoni e melodrammi), è gravissimo, per la tradizione che l’Italia da sola ha creato nei secoli, diffondendola nel mondo e salvaguardandola, presentando sé stessa come portatrice, ancora oggi, momento storico in cui non ne è più protagonista assoluta, di valori e canoni di bellezza e buon gusto, che sia a tavola, nell’atelier o a teatro.

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Genere di studi o studi per genere?

Tralasciando il fatto che settorializzare, più di quanto non si faccia già a livelli istituzionali e ufficiali, i saperi nel mondo e nell’epoca della globalizzazione, del confronto e della contaminazione culturale, non è proficuo: porta a sterilizzare le discipline, gli studi e le menti in comparti non comunicanti e che, prima o poi, atrofizzano, non trovando spunti e nutrimenti nuovi da altre discipline.

Ma arrivare a dividere maggiormente gli studi, secondo un inveterato luogo comune popolare, in “da femmine” e “da maschi” – usando un linguaggio che è più consono a un bimbo dell’asilo – ne sacrifica ancora di più la fertilità e lo sviluppo nella ricerca.

Certamente, il fatto che alle studentesse sia ancora, nella mentalità comune, ascritta solo la possibilità di una facoltà umanistica e preclusa la chance di un percorso di studi scientifico è un problema (oltre che un fatto) culturale. E che vada sfatato e superato è indubbio. Ma il ragionamento contrario è altrettanto estremo e pericoloso: arrivare ad affermare che sia un problema che le studentesse non scelgano le STEM è allarmarsi di un falso problema.

Né lo dovrebbe essere, in realtà, la bassa percentuale di iscritti alle facoltà scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. È da usare il condizionale, proprio per non sembrare anacronistici e col prosciutto sugli occhi.

Eppure, i saperi sono saperi, e agli stessi non interessa chi li coltivi. I saperi sono tali non se – presumibilmente – servono alla società, perché portano alla libertà di chi se ne cura, e non alla servitù dell’utile. E se proprio si debba, in questo malato sistema nel quale sguazziamo, cercare dell’utile (un “servigio” spendibile) alle discipline non STEM, esse esprimono l’essenza umana dalle grotte di Altamira, così come la espresse lo sfregamento di due pietre per creare la scintilla del fuoco; esistono da quando esiste l’essere umano e resistono benissimo nella nostra società dell’utile, quando riempiono i cinema o le librerie, o quando ci fanno ridere e accapponare la pelle.

Allarme STEM?

Che siano STEM o non lo siano, l’unico dato allarmante è che l’Italia è nel podio degli ultimi paesi dell’UE per laureati. Non è indice di progresso – o almeno non lo è per davvero, a livello generale – una grossa percentuale di studenti e studentesse nelle facoltà STEM, ed è ridicolo che ci siano università che poggino la loro intera campagna acquisti… pardon, offerta formativa, sul pungolare le ragazze a scegliere le STEM.

“Eh, ma non scegliere le STEM relega le donne a stipendi più bassi: una professoressa delle medie non guadagna quanto l’ingegnere informatico della grande multinazionale”, mi si potrà dire. Il problema, allora, è nel disprezzo sociale e culturale delle discipline umanistiche, in toto, ai nostri giorni. Dovremmo ricordarci che Leonardo fu anche un ingegnere e Michelangelo, oltre che architetto, fu un poeta, e allora guadagneremmo (in senso figurato e reale) tutti di più!

Riccardo Stigliano per Questione Civile

Sitografia

  • www.torcha.it
  • www2.deloitte.com
  • www.oecd.com
  • www.corrierecomunicazioni.it

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