Tipografia: qualche caso di esperienza autoriale

Tipografia

L’autore in tipografia e la nascita della filologia dei testi a stampa

Nello scorso articolo si era trattato della nascita della stampa, degli impiegati in tipografia e delle cosiddette “varianti di stampa”. Qui di seguito si riporteranno alcune esperienze di autori in tipografia e si accennerà alla nascita della filologia dei testi a stampa. 

La figura del correttore editoriale

Avevamo già accennato al significato di “variante di stampa” o “variante di stato”. Con questi termini si nomano le «divergenze rilevabili tra gli esemplari di una medesima edizione realizzata al tempo della stampa manuale (XV-XVI secc.)»[1]. Infatti, avevamo parlato dell’impossibilità di parlare di esemplari identici tra loro, nonostante provenienti dalla stessa edizione. Questo perché, ricordiamo, spesso gli esemplari subivano delle modifiche in corso di tiratura in tipografia, gli esemplari contenenti il cancellandum[2] però non venivano scartati. Da ciò deriva la coesistenza tra esemplari, persino della medesima tiratura, contenenti lezioni diverse. 

Man mano che si costituì un mercato di libri di dimensione nazionale, si ricercò anche l’utilizzo di una lingua il più possibile standardizzata. Ciò comportò l’entrata, all’interno della tipografia, di una figura professionale più affinata: il correttore editoriale. Tale ruolo veniva rivestito da figure più o meno professionali, a secondo delle disponibilità economiche della tipografia. Era possibile, infatti, trovare un vero e proprio filologo, mediocri letterati, grammatici o correttori di bozze. Ciò che risulterà sarà una prassi correttoria diversa, da caso a caso, ma dalle direttrici grossomodo unitarie. Si avrà dunque l’abbandono delle forme di koinè regionale, la semplificazione della sintassi e la banalizzazione di luoghi ostici. Il modello linguistico di riferimento diveniva, dunque, quello trecentesco toscano. In particolare quello che verrà portato in auge nelle Prose della volgar lingua bembiane. Bembo, infatti, invitava a conformare gli scritti prosastici secondo la prosa boccacciana e quelli poetici secondo i versi petrarcheschi. 

L’intellettuale in tipografia

Tra le fila dei correttori editoriali più illustri troviamo figure di letterati importanti, tra i quali spiccano Bembo, Sansovino, Giraldi e Ruscelli. Da tali personalità ci si aspetterebbe adesione e approccio al testo strettamente filologici e, conseguentemente, testi accurati e aderenti il più possibile alla volontà autoriale. In realtà operavano due forze opposte: una centripeta mirava a dare alla luce un testo restaurato genuinamente, una centrifuga voleva adeguarlo alle convenzioni allora attuali. Personaggi principali di un caso emblematico furono Girolamo Ruscelli e Giovan Battista Giraldi Cinzio, entrambi approcciatisi al testo ariostesco, sebbene con modalità differenti. 

L’intellettuale in tipografia: Ruscelli e Giraldi[3]

Annata proficua per l’Orlando furioso fu il 1556, quando vennero pubblicate ben otto ristampe dell’opera. Tra queste, quella che spicca di più è l’edizione Valgrisi, curata da Giacomo Ruscelli; mediante questa l’editore si era imposto sull’edizione del rivale Giolito. Valgrisi aveva di fatto arricchito la sua edizione di xilografie, di modo che il lettore, affascinato da queste, meno badasse al testo. Di fatti, sebbene si fossero nell’arco degli anni registrate delle alterazioni tra le varie edizioni, questa del Ruscelli non era paragonabile alle precedenti. Ruscelli, infatti, non si limitò a meri ammodernamenti linguistici: alla veste grafica mutata si unì il corredo di considerazioni critiche, che accompagnavano ogni canto. Per mettere in atto questa “rivoluzione” sul testo ariostesco da un lato forzava le “regole” bembiane, dall’altro faceva ricorso a uno stratagemma. Ruscelli, infatti, sostenne di essere in possesso di una lista di varianti autografe inedite. 

Tali varianti gli sarebbero state consegnate da Galasso Ariosto, pensate dal Ludovico in vista di un’ulteriore edizione, impedita dalla morte dell’autore. La studiosa Luigina Morini dimostrò come in realtà questo fosse stato un espediente del Ruscelli. Infatti, quelle che Ruscelli aveva spacciato come correzioni ariostesche da un lato contraddicevano le tendenze correttorie dell’autore, dall’altro ben si inquadravano nelle concezioni grammaticali ruscelliane. Inoltre, Marco Dorigatti dimostra come in realtà il testo base utilizzato da Ruscelli, altro non era che la giolitiana del 1552, curata dal Dolce. 

Se il Ruscelli fu portatore di tendenze centrifughe, dall’altro lato troviamo il Giraldi, che si pose subitamente in netta contrapposizione al Ruscelli. Smontando pezzo per pezzo il di lui operato, approcciandosi in modo strettamente filologico al testo. Giraldi valuta di volta in volta tutte le varianti, andando, talvolta, anche contro la mera regola grammaticale, per salvare la valenza della lezione originale.

L’intellettuale in tipografia: gli autori

Quando si parla di intellettuali in tipografia, però, non si fa riferimento soltanto alle figure impiegate come correttori editoriali. Talvolta, infatti, ad attendere con grande attenzione alla propria opera, vi erano gli autori stessi. Uno dei casi riguarda proprio la figura di Ludovico Ariosto, del quale conosciamo ben tre edizioni della stessa opera. Se la prima edizione era stata edita nel 1516, già nel 1521 l’autore dava alla luce una seconda edizione, rivista linguisticamente. Nel 1525, però, il Bembo aveva pubblicato le sue Prose e Ariosto iniziò a interrogarsi nuovamente sulla veste linguistica data al suo poema. A ciò, inoltre, si aggiungeva l’insoddisfazione per la sua arte. Tali fattori lo portarono a pubblicare nel 1532, per i tipi di de’ Rossi, l’ultima edizione del suo poema. 

Il testo giunto in tipografia arrivò sotto forma di postillato: Ariosto aveva apposto correzioni alla stampa del ’21. Già l’esemplare su cui si sarebbe basata la stampa si presentava, dunque, di difficile interpretazione. Di volta in volta, dunque, impresso il foglio su entrambi i lati, veniva consegnata una bozza all’autore, che avrebbe dovuto verificarne la correttezza. In realtà, però, Ariosto non si limitava a sanare gli errori, ma interveniva di volta in volta con aggiustamenti di varia natura.

Venivano quindi corrette le forme e l’impressione continuava. Cosa avveniva però quando l’autore interveniva ulteriormente a tiratura avviata? Come detto precedentemente, in tipografia nulla si butta. Per cui si correggeva e si riprendeva il lavoro. Tutte queste correzioni in corso d’opera furono la causa delle numerose varianti di stato presenti nelle copie dell’opera del ’32. Inoltre alcuni esemplari presentano delle carte con ottave maggiormente aderenti a quelle del 1521, prive dunque delle correzioni autoriali. Ciò sarebbe testimonianza di un doppio momento di impressione di alcune carte, impresse dapprima con una forma, seguitamente smontata e ricomposta. 

La nascita della textual bibliography o filologia dei testi a stampa

Nata in Inghilterra nel 1914 la textual bibliography viene inizialmente intesa come una branca della bibliografia, ancella, dunque, della critica testuale. In realtà decenni dopo ci si rese conto di quanto l’analisi bibliografica impattasse sull’ecdotica, per cui la textual bibliography venne considerata un settore della filologia. In particolare venne a essere designata come quella branca che si occupava delle edizioni dei testi stampati. Si attestò così in Italia come filologia dei testi a stampa. Per molti decenni l’Italia fu sorda al richiamo della filologia dei testi a stampa, complice l’idea che alla tipografia si dovesse la serialità degli esemplari. 

La filologia dei testi a stampa ha come oggetto di studio proprio gli esemplari prodotti all’epoca della stampa manuale. Per la constitutio textus di opere a tradizioni a stampa bisogna, infatti, tenere conto di molteplici fattori. Tali fattori sono i differenti sistemi del correttore e dell’autore, gli interventi normalizzatori o censori, messi in atto sia dal revisore, che dall’editore. 

Di questa branca della filologia tratta in modo esauriente un volume di Susanna Villari, Che cos’è la filologia dei testi a stampa, edito per Carrocci nel 2014. 

Rosita Castelluzzo per Questione Civile

Bibliografia e sitografia:

C. Caruso-E. Russo, La filologia in Italia nel Rinascimento, Roma, Biblioteca dell’Arcadia, 2018.

P. Stoppelli, Filologia della letteratura italiana, Roma, Carrocci editore, 2008.

S. Villari, Che cos’è la filologia dei testi a stampa, Roma, Carrocci editore, 2014.


[1] S. Villari, Che cos’è la filologia dei testi a stampa, Roma, Carrocci editore, 2014, 122. 

[2] Con tale termine si indica il foglio contenenti le lezioni di scarto. 

[3] Per quanto riguarda questo episodio si fa riferimento al contributo di Marco Dorigatti, Momenti della filologia ariostesca nel Cinquecento, in C. Caruso-E. Russo, La filologia in Italia nel Rinascimento, Roma, Biblioteca dell’Arcadia, 2018, 193-215.

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