La politica linguistica fascista criticata da Levi

Politica linguistica

La chimica come linguaggio dissidente: la politica linguistica del fascismo

Nell’accavallarsi dei decenni numerosi studi hanno evidenziato la politica linguistica della dittatura fascista. Venturi parla di un vero e proprio «regno della parola»[1] il cui obiettivo era quello di intorpidire il linguaggio: al di là della mera bonifica lessicale, ad essere realizzato è stato un oculato programma di deformazione comunicativa dedito all’intercettazione di qualsivoglia possibilità espressiva al di fuori dei binari discorsivi prestabiliti.

Nel dettaglio, la strategia mirava alla scissione tra parole e cose, intervenendo nel merito di quel delicato interstizio tra linguaggio e realtà al fine di deturparne il canale di trasmissione e traslazione. Ciò che emerge è una lingua autotelica che non riflette altro che sé stessa, le cui parole non si rivolgono alle cose ma ad altre parole, otturando il confronto col mondo esterno in un’astrazione opaca che non ammette plasticità espressiva.

Quando Meneghello – fine conoscitore della retorica del regime – ricorda che a scuola si apprendevano «parole vuote sotto cui non c’era nulla di reale»[2] e che «in generale non si era nutriti di cose, ma di parole sulle cose»[3].  Ciò che intendeva era proprio la totale dissoluzione della realtà materiale, il venir meno del circostante fattuale sepolto da strati e strati di manipolazioni linguistiche. Dalla lingua scaturiva lingua in un uroboro a dir poco tumorale.

La chimica come linguaggio dissidente

Non sorprende dunque che la politica linguistica fascista favorisse le materie umanistiche a discapito di quelle scientifiche. Selezionando accuratamente le occasioni narrative e le dinamiche espressive dei giovani studenti, la politica linguistica del fascismo recintava il loro orizzonte concettuale e scolpiva perversamente la loro postura immaginifica.

Alla luce di ciò, le discipline scientifiche divennero pericolose, conseguirono un certo valore sovversivo, dal momento che avrebbero potuto offrire una scappatoia, un cortocircuito rispetto alla prigione del fascismo. La ragione dietro questa «congiura» disciplinare, come l’ha definita Levi, è presto detta: le materie scientifiche non potevano essere intorpidite e scassinate come accadeva con le corrispettive umanistiche; il loro linguaggio era troppo nitido, troppo preciso, troppo aderente per essere diluito nell’astrattezza di cui il fascismo necessitava.

Soprattutto, la scienza costituiva una minaccia poiché avvicinava il soggetto parlante alla realtà quotidiana: la retorica materiale sulla quale fondavano la loro lezione era imbevuta di cose – quelle stesse cose che il fascismo occultava –, e perciò non poteva essere contaminata; il linguaggio sarebbe tornato referenziale. La scelta della chimica per Levi è perciò innanzitutto un atto politico, una strategia dissidente: «la chimica è intrinsecamente antifascista»[4] avrà modo di sostenere, in quanto linguaggio alternativo a quello imposto dalla direttiva didattica e culturale.

L’inventio e l’associazione

L’inclinazione formale della chimica si realizza attraverso un sagace processo di inventivo. L’esercizio retorico a cui mi riferisco appartiene al dominio figurale che Francesco Orlando ha catalogato come «inventio», ovvero l’insieme «dei processi attraverso cui un singolo testo letterario modellizza i propri referenti e crea il suo specifico mondo in un rapporto dialettico tra mimesi e convenzione»[5].

In altre parole, si tratta di una sorta di pedaggio votato al trasferimento dei dati empirici al microcosmo finzionale, all’articolazione delle porzioni fattuali in argomentazioni concettuali. Tale è la finalità alla quale si presta Il sistema periodico: riformulare il quadro logico del mondo tramite un ripensamento di quella grammatica ontologica che modera la relazione tra entità finzionali ed entità reali ma che acconsente ora grazie al potere del racconto a instaurare referenze non previste dal senso comune e dalla politica linguistica fascista.

La retorica di matrice chimica sviluppata nel corso di questa autobiografia è eretica nella misura in cui ri-concettualizza il perimetro epistemico della società fascista avanzando nuovi percorsi cognitivi. Orlando ha definito «associazione» la capacità formale del testo letterario di istituire a livello semantico «collegamenti che nella realtà extratestuale non risultano particolarmente salienti o evidenti, e che invece una specifica opera lavora a rendere pertinenti»[6]; allo stesso modo, Il sistema periodico documenta come un giovane chimico cresciuto ed educato durante il ventennio sia riuscito a evadere dalla detenzione concettuale del fascismo sviluppando nessi non contemplati tra parole e cose attraverso la topica della tavola periodica.

Il nuovo alfabeto argomentativo che gli elementi di cui è composta la realtà materiale suggeriscono configura una retorica declinata in funzione di contropolitica, di un manifesto contestatario rispetto alla politica linguistica del regime.

La famiglia e i gas nobili

È così che non solo la prospettiva pubblica della storia italiana fascista e post-fascista ma anche il margine privato di una vita scandita in tappe – educazione, maturazione, matrimonio, lavoro, etc. – vengono riletti alla luce delle possibili associazioni tra elementi della tavola periodica e circostanze biografiche. Levi ha creato un microcosmo alternativo e libero dai fumi fascisti, riplasmando a piacimento e da bravo alchimista la composizione logica della sua esperienza una volta tradotta in narrazione. Un esempio:

Ci sono, nell’aria che respiriamo, i cosiddetti gasi inerti. […] Sono appunti, talmente inerti, talmente paghi della loro condizione, che non interferiscono in alcuna reazione chimica, non si combinano con alcun altro elemento, e proprio per questo motivo sono passati inosservati per secoli […]. Si chiamano anche gas nobili […]; si chiamano infine anche gas rari […]. Il poco che so dei miei antenati li avvicina a questi gas. Non tutti erano materialmente inerti, perché ciò non era loro concesso: erano anzi, o dovevano essere, abbastanza attivi, per guadagnarsi da vivere e per una certa moralità dominante per cui ‘chi non lavora non mangia’; ma inerti erano senza dubbio nel loro intimo, portati alla speculazione disinteressata, al discorso arguto, alla discussione elegante, sofistica e gratuita. […] Nobili, inerti e rari[7].

Levi associa la sua famiglia ai gas nobili stabilendo un nesso semantico inverosimile nella realtà empirica ma lecito nella realtà testuale. Così facendo, l’eredità famigliare che è chiamato a perpetuare sguscia dalle sbarre della politica linguistica fascista, contraddice la sua legislazione epistemica, e consente al giovane di pensare al di fuori del copione educativo.

Il collega Sandro

O ancora, basti pensare all’associazione che Levi tesse tra il suo collega Sandro e l’elemento periodico del ferro:

Sandro sembrava fatto di ferro, ed era legato al ferro da una parentela antica: i padri dei suoi padri, mi raccontò, erano stati calderai (“magnìn”) e fabbri “fré”) delle valli canavesane, fabbricavano chiodi sulla sforgia a carbone, cerchiavano le ruote dei carri col cerchione rovente, battevano la lastra fino a che diventavano sordi: e lui stesso, quando ravvisava nella roccia la vena rossa del ferro, gli pareva di ritrovare un amico[8].

Di nuovo, una porzione dell’esistenza umana – in questo caso, le amicizie universitarie – viene reinterpretata tramite la filigrana della tavola periodica, vero deposito argomentativo dal quale prelevare perché immune alla propaganda. Il sodalizio col collega, ragazzo umile ma tenace come il ferro che evoca, riesce proprio in virtù di tale gemellaggio elementale a disintossicare il giovane Levi dal veleno fascista: Sandro e la chimica, l’esperienza e la tecnica, rappresentano l’istruzione alternativa di cui necessitava.

Aldo Baratta per Questione Civile

Bibliografia:

  • LEVI Primo, Il sistema periodico (1975), Einaudi, Torino 2014.
  • LEVI Primo, Conversazione con Anthony Rudolf, in M. Belpoliti (a cura di), Primo Levi, in «Riga» XIII, Marcos y Marcos, Milano 1997.
  • MENEGHELLO Luigi, Fiori italiani (1976), in F. Caputo (a cura di), Opere, Rizzoli, Milano 1997.
  • MENGHELLO Luigi, Martedì mattina (1986), in F. Caputo (a cura di), Opere, Rizzoli, Milano 1997.
  • STURLI Valentina, Figure dell’invenzione. Per una teoria della critica tematica in Francesco Orlando, Quodlibet, Macerata 2020.
  • VENTURI Franco, Il regime fascista (II), in AA.VV., Trent’anni di storia italiana. Dall’antifascismo alla Resistenza, Einaudi, Torino 1961.

[1] F. Venturi, Il regime fascista (II), in AA.VV., Trent’anni di storia italiana. Dall’antifascismo alla Resistenza, Einaudi, Torino 1961, p. 18.

[2] L. Meneghello, Martedì mattina (1986), in F. Caputo (a cura di), Opere, Rizzoli, Milano 1997, p. 607.

[3] Id., Fiori italiani (1976), in F. Caputo (a cura di), Opere, cit., p. 258.

[4] P. Levi., Conversazione con Anthony Rudolf, in M. Belpoliti (a cura di), Primo Levi, in «Riga» XIII, Marcos y

Marcos, Milano 1997, p. 107.

[5] V. Sturli, Figure dell’invenzione. Per una teoria della critica tematica in Francesco Orlando, Quodlibet, Macerata 2020, p. 30.

[6] Ivi, p. 100.

[7] P. Levi, Il sistema periodico (1975), Einaudi, Torino 2014, pp. 3-4.

[8] Ivi, p. 41.

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