La retorica fisica di Del Giudice. Verso una nuova frontiera

la retorica fisica

La retorica fisica della disposizione testuale

Nel compendio dei debiti figurali che possiamo riscuotere dalle discipline scientifiche, nel caso della retorica fisica di Del Giudice parliamo di un tributo di natura dispositiva, inerente cioè all’organizzazione dei segmenti testuali. Nello specifico, il contatto tra la tecnica desunta dalla fisica e la prosa di Del Giudice avviene nei due ambiti formali che Genette in Figures III ha denominato «mode» e «voix»: rispettivamente, la «régulation de l’information narrative»[1] e la gestione del «sujet (et plus généralement l’instance) de l’énonciation»[2].

Lungo il progredire dell’ultimo secolo la realtà si è riscoperta micro-particellare, e i quanti sono diventati coinquilini che è impossibile ignorare; la letteratura può allora, attraverso una specifica condotta figurale relativa all’amministrazione dei dati e delle percezioni esterne, addestrare il parlante ai numerosi sbalzi del barometro epistemico provocati dalla lezione della meccanica quantistica.

La prospettiva

La prima operazione di tale retorica fisica concerne la direzione della prospettiva – classificata da Genette nell’ambito del «mode». Tra le numerose conclusioni epistemiche dettate dal principio di indeterminazione di Heisenberg, la reversibilità tra percipiente e percepito, tra soggetto e oggetto, conserva un certo ruolo all’interno della pratica narrativa. Le strategie figurali inerenti al restringimento focale ne risultano intimamente suggestionate, capovolgendo fino al paradosso la morfologia informativa.

La prospettiva umana – alla luce del deficit gnoseologico illustrato da Heisenberg – non è più in grado di avvertire, censire e assimilare l’esperienza e di convertirla in materia finzionale; di conseguenza, il testo deve ricorrere ad ulteriori sagome discorsive, stratagemmi enunciativi. La materia, da entità percepita e meta dell’intellezione, si riscopre istanza percipiente: sono le cose a coordinare il flusso informativo, a filtrare i dati che il testo inoltra al lettore, a regolare l’inquadratura delle vicende; la reversibilità fisica diviene reversibilità narrativa.

È questo il caso della luce e dell’aria. La luce conquista un vero e proprio primato diegetico: in quasi ogni scena dell’opera viene citata una fonte di illuminazione che supervisiona gli avvenimenti, che osserva i personaggi e ne documenta le azioni, che indaga la psicologia dei presenti riportando moti dell’animo che in nessun altro modo, con nessun’altra prospettiva, sarebbero potuti risalire in superficie. Dal canto suo, l’aria è l’unico testimone attendibile dei voli che effettuano i due protagonisti, l’unico personaggio effettivamente rilevante, l’unico agente.

La retorica fisica: la temporalità (1)

La seconda operazione della retorica fisica appartiene al dominio della temporalità del racconto – e quindi, figuralmente parlando, alla «voix» e a quanto concerne la relazione tra il livello del narratore e il livello del narrato. Ciò a cui Del Giudice ambisce è la trascrizione formale del probabilismo borniano: la materia mantiene una duplice attitudine tra un comportamento ondulatorio e un comportamento corpuscolare.

Tale valenza probabilistica si evolve una volta oltrepassato il territorio del racconto in una questione di ineffabilità, in una dialettica tra ciò che si può dire e ciò che non si può dire: il dualismo corpo-onda corrisponde al dualismo luce-ombra, vale a dire alla tensione tra «la quantità di ombra che il linguaggio porta con sé»[3] e la «continua e probabile, puramente probabile luce delle parole»[4]. Del Giudice è conscio che la pratica narrativa è fallibile, che il linguaggio non può raccontare tutto, e il probabilismo consiste proprio nel rispettare tale quota di imprecisione in una rappresentazione letteraria che accetti di essere possibile e verosimile come lo studio della meccanica quantistica.

Tutto ciò comporta innanzitutto una difficoltà relativa alla temporalità dell’atto enunciativo: se «una parola viene dopo l’altra, non si possono dire due parole contemporaneamente, non si possono dire più cose contemporaneamente»[5], allora la successione delle parole, e quindi degli avvenimenti, deve essere giocoforza causale oltre che temporale, «il post hoc si trasforma in propter hoc»[6]. La cronologia è resa necessariamente in segmenti, secondo un movimento progressivo e scandito in prima-ora-dopo: dal momento che «c’è un limite fondamentale nel flatus vocis, […] nella riga scritta», è impossibile raccontare due azioni diverse in maniera simultanea, è impossibile inserire due parole differenti nello stesso spazio.

La retorica fisica: la temporalità (2)

Si tratta di una legge universale della narrazione che la meccanica quantistica mette in discussione, e così la retorica fisica di Del Giudice: se un quanto può essere contemporaneamente onda e corpuscolo, allora è possibile tentare all’interno del fenomeno narrativo una simultaneità delle azioni, realizzando la chimera di una scena che non prevede una sequenza crono-causale ma che si spiana al contrario su un’unica nota di presente indistinto. Si attua così ciò che Genette esplicava in merito alla «narration simultanée»[7], ovvero alla contiguità temporale tra l’atto enunciativo e l’azione enunciata.

L’uso straniante e ricercato dei tempi verbali da parte di Del Giudice disordina la consequenzialità dei fatti raccontati, disfa la trama cronologica e rende problematico – probabilistico – posizionare un’istanza diegetica rispetto a ciò che si legge. Sembra davvero che il tutto accada contemporaneamente e ignorando il principio della causalità; si sfiora l’entanglement quantistico. Qualche esempio:

Il telo, lasciato a metà, cadde del tutto; è apparso il tettuccio a goccia di uno Spitfire Supermarine[8].

Salirono ciascuno dalla propria ala, Epstein a sinistra e Brahe a destra; e una volta nella carlinga Epstein trova la posizione degli strumenti, delle manette e dei pulsanti a colpo d’occhio, senza cercarli, “come se fosse appena sceso da questo aereo” ha pensato Brahe[9].

L’alternanza quasi schizofrenica tra presente, passato prossimo e passato remoto contribuisce attivamente a scompaginare la collocazione degli eventi sia nei confronti della scena stessa che nei confronti del narratore che li documenta. Il limite del flatus vocis è scongiurato: Del Giudice riesce a raccontare due cose contemporaneamente, a riportare la simultaneità delle azioni, a far muovere soggetti e oggetti in avanti e all’indietro come i quanti che i personaggi studiano.

Aldo Baratta per Questione Civile

Bibliografia

  • Del Giudice Daniele, In questa luce, Einaudi, Torino 2013.
  • Del Giudice Daniele, Atlante occidentale, Einaudi, Torino 2019.
  • Genette Gérard, Figures III, Éditions du Seuil, Paris 1972.

[1] Gérard Genette, Figures III, Éditions du Seuil, Paris 1972, p. 251.

[2] Ivi, p. 100.

[3] Daniele Del Giudice, In questa luce, Einaudi, Torino 2013, p. 5.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p. 27.

[6] Ibidem.

[7] G. Genette, Figures III, cit., p. 317.

[8] Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Einaudi, Torino 2019, p. 11.

[9] Ivi, p. 105.

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