L’anoressia: il silenzio del corpo come grido del sé

anoressia

Quando l’anoressia è l’affermazione del sé

L’anoressia ha una manifestazione clinica apparente semplice e di facile categorizzazione che, in realtà, vede le sue radici in luoghi reconditi della mente. Il disturbo esordisce solitamente nell’età post-puberale e insorge prevalentemente nel sesso femminile. Questo disagio appare come snodo tra lo psichico e il corporeo, tra l’età prepuberale e quella adulta, tra il senso di sé e il suo rapporto con l’altro. In questa sede, in particolare, l’anoressia sarà approfondita in ottica psicodinamica, facendo riferimento ai livelli più profondi della psiche umana. In tal senso, il corpo dell’anoressica si fa strumento di comunicazione e teatro di conflitti tra sé e l’altro genitoriale.

Concettualizzazioni teoriche sull’anoressia

L’etimo anoressia deriva dal greco e significa letteralmente “assenza di appetito” (an = privo e orexis = appetito). Con questa accezione si fa riferimento ad un disturbo della condotta alimentare tale per cui il rifiuto del cibo può condurre, circa nel 20% dei casi, alla morte per dimagrimento eccessivo. L’eziopatogenesi dell’anoressia può essere ritrovata nell’interazione tra una vulnerabilità innata e una costellazione familiare che risulta particolarmente invischiante. Secondo i criteri del DSM-IV l’anoressia si manifesta con l’opposizione al mantenimento del peso corporeo minimo per età e statura, con la paura di mettere su chili anche in condizioni di sottopeso, con l’alterata percezione del proprio corpo e la negazione della condizione fisica di mal nutrimento e, infine, con amenorrea per almeno tre mesi consecutivi. Le manifestazioni fisiche del disturbo, inoltre, vanno dalle alterazioni metaboliche e cardiocircolatorie fino a quelle dei ritmi sonno-veglia.

In realtà, il senso di fame non è affatto assente nell’anoressia, infatti Ganzerli e Sasso suggeriscono il termine sitiergia, che indica il tentativo deliberato di tener lontano il cibo. Infatti, è proprio la presenza del desiderio del cibo a rendere narcisisticamente potente chi decide di rinunciarvi. Il primo ad attribuire una natura psichica al disturbo anoressico è stato W. Gull, cui fanno seguito le teorizzazioni di Lasègue che parlava di anoressia nervosa. Kestemberg la definirà, invece, una malattia psicosomatica per la sua manifestazione di natura sia fisica che mentale. Il modo in cui si entra in rapporto col proprio corpo, lo si usa e lo si mostra all’altro diventa strumento attraverso il quale affermare la propria identità. Infatti, il corpo si fa portatore di significati profondi in cui si rintraccia la rappresentazione che si ha di se stessi e del proprio rapporto con il mondo esterno.

La difesa anoressica per separarsi dall’altro

Ferrari attribuisce la difesa anoressica al tentativo di porre uno spazio separatore tra il sé e l’altro materno. Il mancato consolidamento della triangolazione edipica (per approfondimenti, clicca qui) ostacolerebbe la completa separazione del sé dall’altro materno. Il sé potrebbe, quindi, ricorrere alla difesa narcisistica dell’anoressia per affermare pienamente se stesso. Infatti, il processo di soggettivazione e di individuazione dall’altro appare deficitario nell’anoressica che fatica a liberarsi dall’invischiamento della famiglia d’origine. Nelle fasi di crescita che precedono l’insorgenza dell’anoressia, si rintraccia spesso la condizione per cui la figlia si fa contenitore di una madre iper nutritiva. Dunque, il rifiuto del cibo si configura come rifiuto di un nutrimento sentito come invasivo e ostacolante il raggiungimento della propria indipendenza. Secondo Recalcati, in effetti, il corpo del bambino è il luogo su cui l’altro agisce nelle più precoci relazioni: il genitore lo nutre, lo pulisce, lo veste.

Come afferma Lutte, nell’età puberale i rapporti del sé con le figure genitoriali subiscono delle trasformazioni necessarie al processo di crescita ed emancipazione personale. Tuttavia, in alcune strutture familiari, come afferma Pearson, accade che tale processo venga ostacolato dai genitori i quali sentono il figlio come una propaggine di se stesso. Un eccessivo proibizionismo da parte dei genitori, dovuto ad un desiderio inconscio di eterna simbiosi col figlio, rende faticoso il perseguimento di indipendenza e autonomia. La Bruch, infatti, afferma che l’anoressia appare come il tentativo spasmodico di rientrare in possesso della propria autonomia. Anche Selvini Palazzoli attribuisce all’anoressia il tentativo di affrancarsi da una madre iper protettiva e poco incline ad accettare la separazione dalla figlia. L’anoressica sceglie così come trattare il proprio corpo, esercitando totale controllo non solo su di esso ma anche sull’altro, angosciato oramai dal suo rifiuto a nutrirsi.

La negazione ascetica della sessualità nell’anoressia

In ottica freudiana, il rifiuto del cibo nell’anoressia non può che essere strettamente correlato al rifiuto della sessualità. Infatti, secondo Freud, la prime pulsioni sessuali del bambino si rintracciano nella fase orale in cui precoci forme di eccitazione si individuano nella nutrizione. Del resto, è interessante notare come l’etimo an-orexia proviene dall’indoeuropeo orègein che si traduce come desiderare. In quest’ottica, la negazione del desiderio del cibo è parallela a quella del desiderio della sessualità in un corpo che ha faticato ad affermare il proprio ego e che compensa tale mancanza ergendosi verso l’ascetismo onnipotente. Come affermano Ganzerli e Sasso, in tal modo l’anoressica è capace di rifiutare l’oggetto intrusivo in tutte le sue forme, annientando il desiderio dell’altro anche attraverso la negazione della sessualità.

Nell’anoressia, dunque, l’ascetismo anestetizza il corpo dal desiderio che le appare difficile da padroneggiare e tollerare perché è manifestazione palese di una dipendenza dall’altro. Nella difesa ascetica, quindi, si ravvisa il tentativo narcisistico di affermare la propria superiorità attraverso la resistenza a qualsiasi pulsione proveniente dal corpo. Secondo Mogul, l’ascetismo dell’anoressica la fa sentire onnipotente, capace di una totale indipendenza dall’altro al punto da silenziare ogni desiderio del corpo che necessita dell’altro per trovare soddisfacimento. Il dimagrimento estremo che consegue al rifiuto del cibo, non a caso, potrebbe essere correlato al tentativo di nascondere le forme di un corpo sessuale mal tollerato, rifiutato (seno, fianchi, natiche). L’altro diventa incarnazione del genitoriale intrusivo contro cui rivoltarsi, si configura come possibile fonte di eccitazione sessuale dalla quale affrancarsi per affermare finalmente la propria autonomia dal mondo esterno.

Fabiana Navarro per Questione Civile

Bibliografia

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