La pena di morte tra storia e legislazione

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La pena di morte: la giustizia nelle mani del boia

Il concetto di pena nasce con l’istituzione della società. Essa si presenta come la giusta punizione per colui che non rispetta e infrange le leggi imposte dall’autorità. Tra tutte le forme di pene, sicuramente spicca la pena di morte, che nel corso della storia si è guadagnata il titolo di pena capitale.

La pena di morte era già prevista all’interno del diritto religioso per reati come l’omicidio premeditato, il rapimento di persone, la stregoneria, i sacrifici umani e l’adulterio. Pertanto, nel passaggio dalle forme consuetudinarie del diritto alle codificazioni scritte, la pena di morte venne inserita in ogni singolo codice delle società antiche.

La pena di morte nel codice di Hammurabi: la prima apparizione codificata

Nella storia umana è ricorrente la vendetta come strumento di giustizia, probabilmente a causa dell’inclinazione umana all’autoconservazione. Considerata la funzione del diritto come insieme di regole che da una parte deve fronteggiare i problemi sociali e dall’altra deve rispecchiare la società, non deve sorprendere che l’uomo abbia previsto l’introduzione di una pena che lo proteggesse e che non intaccasse l’equilibrio dell’intera società.

La prima forma di codificazione, in senso tipico, risale al Codice di Hammurabi. Attribuito alla civiltà babilonese, esso risulta essere una delle più antiche raccolte di leggi scritte. Ancora oggi, il Codice viene considerato di fondamentale importanza, non solo perché è una delle opere letterarie più importanti e conosciute dell’antica Mesopotamia, ma soprattutto perché permette di ricostruire i sistemi legali dell’antichità.

Esso conteneva il famoso principio “occhio per occhio, dente per dente”, ovvero quella che comunemente chiamiamo legge del taglione. Tale disposizione sanciva la pena capitale per chiunque si fosse macchiato di taluni comportamenti (reati, ai giorni nostri) come omicidio, furto o persino di pigrizia nel posto di lavoro.

Questo principio non si fermò ai Babilonesi, ma si diffuse rapidamente nel mondo antico varcando i confini dell’Egitto.

La pena di morte presso le società antiche: Egitto e Grecia

Gli egiziani facevano ricorso alla pena di morte nel caso in cui venisse infranta la Maat, ovvero la legge universale rigorosamente osservata in Egitto. Nella maggior parte dei casi, eseguivano la sanzione in un luogo con un forte legame culturale e sociale, ossia il fiume Nilo. Solitamente si trattava di morte per annegamento o per decapitazione.

I greci, dal canto loro, ritenevano che la vendetta andasse concepita come un dovere morale e che fosse indegno rinunciarvi. In caso di omicidio era consentito rispondere con la vendetta privata e nei poemi omerici tale atto provocava la violenta reazione da parte dei familiari del morto. Questo concetto emerge dal primo canto dell’Odissea, dove Atena si rivolge a Telemaco:

«Non senti che gloria s’è fatta Oreste divino
fra gli uomini tutti, uccidendo l’assassino del padre,
Egisto ingannatore, che il nobile padre gli uccise?
Anche tu caro, poiché bello e aitante ti vedo,
sii forte, che ci sia chi ti lodi ancora fra i tardi nipoti.
»

Inoltre, si trova riscontro di ciò in quello che è considerato il primo intervento legislativo accertato in Grecia: le leggi di Dracone del VII secolo a.C., periodo di fortissime tensioni tra aristocrazia e popolo. Le leggi erano così severe che si diceva fossero scritte non con l’inchiostro ma con il sangue e anticipavano quelle che sarebbero state le leggi di Solone.

Antica Roma

Nell’antica Roma fu applicata originariamente la legge del taglione, come dimostrato dalle Leggi delle XII tavole. Tra le varie pene rientrano la decapitazione per chi fosse stato cittadino romano e la crocifissione per chi non godesse della cittadinanza (come testimoniato dalla crocifissione degli oltre 600.000 uomini lungo le strade consolari poiché avevano seguito Spartaco nella rivolta contro Roma). Quando si palesò il problema dei cristiani, invece, venne decretato che fossero dati in pasto alle belve degli anfiteatri.

La pena di morte nel millennio più buio

L’età medioevale si caratterizza in Europa per l’accentuato potere della Chiesa. La pena di morte viene applicata da diverse tipologie di soggetti abilitati e ritenuti degni di gestire la giustizia: già da qui si evince una concezione del diritto arcaica e molto distante da quella attuale. Ciò si verifica perché una delle caratteristiche del sistema feudale è la sovrapposizione di autorità: dal potere del Re o dell’imperatore si passa per quello dei feudatari, fino ai magistrati cittadini investiti del compito di amministrare la giustizia. Inoltre, anche il potere religioso poteva applicare sanzioni, tra cui la pena di morte.

In tale cornice, la pena di morte poteva essere applicata non solo per il gravissimo reato di omicidio ma anche per i reati di furto, tradimento e sacrilegio. L’esecuzione era preceduta da torture e trattamenti inumani e, rispetto al passato, le modalità di esecuzione divennero più cruente: tentativi di allungamento degli arti, bollitura, letto incandescente, scorticamento e ruota. A rendere il tutto ancora più raccapricciante, è il fatto che l’esecuzione diventa pubblica.

Si dice che la Chiesa in questi anni si macchia di crimini atroci creando l’Inquisizione – nome da attribuire sia all’Inquisizione medievale del XIII secolo, sia all’Inquisizione spagnola creata da Papa Sisto IV nel 1478 dietro sollecitazioni di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia. Questo tribunale nasce come risposta della Chiesa ai movimenti ereticali che rischiavano di stravolgere l’ordine sociale e religioso. L’immagine dell’Inquisizione come tribunale sanguinario sembra falsa: lo spoglio statistico delle sentenze, da cui si ricava la bassa percentuale di condanne – soprattutto di pena capitale –, dimostra che gli inquisitori imponevano penitenze che miravano alla correzione e al riavvicinamento dell’eretico alla fede. I tribunali che processano i templari nel 1307 e Giovanna D’Arco nel 1431 non rappresentano la vera Inquisizione, ma sono l’espressione di un potere laico.

La pena di morte e la critica moderna

Nel corso dell’età moderna si assiste ad un vero e proprio consolidamento della pena di morte in virtù della ragion di stato. Esemplari il caso dell’Inghilterra, dove fu applicato il severissimo Bloody Code – con il quale furono addirittura mandati alla forca due bambini di 7 e 11 anni per un semplice furto –, e il caso della Francia, dove si assistette al ghigliottinamento di circa 35.000 civili durante il periodo del Terrore seguito alla Rivoluzione.

Solo alla fine del XVIII secolo avviene un cambio di rotta grazie all’Illuminismo, movimento culturale che fondava i suoi principi sulla ragione e l’intelletto. La critica più efferata nei confronti della pena di morte venne mossa da Cesare Beccaria, uno dei più grandi filosofi illuministi italiani: nel suo Dei delitti e delle pene (1764) condanna la pena di morte come apice di inciviltà e spinge per l’applicazione di pene miti che possano offrire al reo l’opportunità di redimersi. La pena di morte non è un diritto né un deterrente, poiché lo Stato, infliggendola, dà un cattivo esempio: da un lato condanna l’omicidio e dall’altro lo commette.

Il caso italiano tra età moderna e contemporanea

L’Italia si dimostra pioniera nell’abolizione della pena di morte; la prima abolizione di fatto in età moderna fu quella della Repubblica di San Marino nel 1468, ma si dovrà attendere il 1753 per l’abolizione ufficiale. Un momento storico e giuridico che diventerà di vitale importanza per il panorama italiano è l’emanazione del codice penale Leopoldo – dal nome di Pietro Leopoldo che lo firmò – il 30 novembre 1786 per conto del Granducato di Toscana che abolì la pena di morte.

L’Italia in quanto tale – quindi dopo la sua unificazione nel 1861 –, abolì la suddetta sanzione nel 1889, eccezion fatta per i reati militari. Infatti, nel 1865 la camera dei deputati propose al Senato un progetto di legge che limitava la pena capitale a reati di eccezionale gravità ricomprendendo qualche reato politico. Tuttavia, il Senato con composizione fortemente conservatrice non fu d’accordo. Solo qualche anno dopo il Senato cambiò prospettiva e venne stilato il codice Zanardelli, che eliminava del tutto la pena di morte tranne per i reati militari.

Tuttavia, l’Italia la inserì nuovamente nel 1930 con il Codice Rocco durante gli anni del fascismo. Il nuovo impianto legislativo mirava a soddisfare le esigenze di sicurezza stabilite dal regime fascista e in questo contesto sembrò ragionevole reinserire la pena di morte.

Con l’emanazione della Costituzione (1946), la pena di morte venne definitivamente abolita. Inizialmente l’art. 27, comma 4 disponeva che: “Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”; poi, nel 2007, il suddetto articolo ai commi 3 e 4 venne modificato in: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e “Non è ammessa la pena di morte”.

La situazione attuale

La pena di morte è stata abolita, o non è applicata, nella maggioranza degli Stati del mondo, ma nel 2022 era ancora in vigore in 53 Stati, tra cui Iran, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, Egitto, Giappone, India, Libia, Palestina, Stati Uniti d’America e Taiwan.

Ogni anno la Cina condanna a morte più persone rispetto al resto del mondo, anche se il numero esatto non è reso pubblico ed è considerato un segreto di Stato. Nel 2020 la Cina ha scelto di adottare la pena capitale anche come punizione contro chi non rispetta le misure di prevenzione COVID-19.

Negli USA la pena di morte è praticata in 37 dei 50 Stati e sono secondi solo alla Cina per numero di condanne. Lo Stato che fa maggiore uso della pena capitale è il Texas, dove negli ultimi cinquant’anni sono state effettuate il 35% delle esecuzioni.

Nei Paesi arabi la pena di morte è applicata con grande severità, spesso basandosi sulle durissime prescrizioni della legge coranica, la Sharia. Le vicende dell’Iran rappresentano un caso emblematico: in seguito alla morte di Mahsa Amini provocata dalla polizia, sono scoppiate proteste molto violente in piazza. L’8 dicembre 2022 Mohsen Shekari è stato giustiziato. È la prima pena capitale dopo le proteste di piazza in Iran. Ci sono almeno altre undici persone, tra cui anche minorenni, che potrebbero subire la stessa sorte.

L’eredità della pena di morte

Quello della pena di morte è da sempre un argomento su cui si è a lungo dibattuto. Il tema è fortemente sentito anche dall’Unione Europea; infatti, sul sito del Parlamento Europeo è possibile individuare una sezione che tratta il tema e che esordisce con una frase di Albert Camus:

La pena capitale è il più premeditato degli assassinii”.

L’Unione Europea e gli Stati firmatari hanno abolito la pena di morte ufficialmente con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, approvata nel dicembre del 2000.

Oggi ci troviamo difronte a due opposti orientamenti:

  • da una parte i sostenitori della pena di morte partono dal presupposto che compito fondamentale dello Stato sia difendere ad ogni costo i singoli individui e la comunità e che chi commette reati deve pagare. L’eliminazione definitiva di un delinquente eviterebbe, poi, il ripetersi di altri reati da parte dello stesso che, pur condannato, potrebbe ritornare in libertà. Certamente sul piano economico essa rappresenta un sistema di punizione molto meno gravoso di una lunga detenzione e dell’ergastolo, e quindi vantaggioso per la comunità;
  • dall’altra parte ci sono gli oppositori della pena di morte e lo fanno soprattutto per motivi morali. Al di là dell’atrocità insita in questo strumento, essi ritengono che nessuno abbia il diritto di togliere la vita ad un altro, indipendentemente dalla gravità delle colpe da quest’ultimo commesse. Inoltre, permane il problema degli errori giudiziari, cioè la possibilità tutt’altro che remota di uccidere un innocente. Infine, la pena di morte si dimostra uno strumento di discriminazione sociale, in quanto vengono giustiziati criminali che appartengono soprattutto alle classi sociali più deboli ed ai gruppi più marginali.

Per non dimenticare mai tale dibattito, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha deciso di indire la Giornata europea contro la pena di morte da celebrare ogni anno il 10 ottobre.

Maria Rita Gigliottino e Valeria Cantarella per Questione Civile.

Bibliografia

Albert Camus, Riflessioni sulla pena di morte, Bompiani, 2018.

Adriano Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, Giuffré, 2005.

Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914-1991, Rizzoli, 2014.

Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, Storia romana, Mondadori Education, 2016.

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