Viaggio di Dante in sé stesso: la Divina Commedia

viaggio

La selva oscura come metafora del viaggio nell’inconscio

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diretta via era smarrita”. Questi sono i celebri versi con cui si apre la Divina Commedia. Già queste poche parole ci aprono al mondo che Dante incontrerà nel corso del suo viaggio, ma ci dà anche degli indizi su ciò che aveva preceduto il viaggio. Già nel mezzo del cammin di nostra vita ci ricorda che quando Dante scrive la Divina Commedia ha 35 anni, quello che all’epoca poteva essere considerata la mezza età. Infatti, il Sommo Poeta morirà alcuni anni dopo all’età di 56 anni.

Pare dunque che Dante stia avendo una crisi di mezza età, intesa come un momento in cui fa un bilancio della sua vita e da ciò nasce uno dei temi dominanti della Divina Commedia: la redenzione umana, che parte dalla redenzione del poeta stesso sino ad arrivare alla redenzione dell’umanità.

“700 anni con Dante”

-N. 12

Questo è il dodicesimo numero della Rubrica di Rivista dal titolo 700 anni con Dante, finalizzata ad analizzare la figura del Sommo Poeta da diversi punti di osservazione. La Rubrica vede la collaborazione tra le Aree di Storia Antica e Medievale, Economia, Affari Esteri, Lettere, Scienze Umane, Storia Moderna e Contemporanea, Arte, Cinema, Tecnologia, Filosofia del Diritto, e Filosofia Teoretica

Due eventi scatenanti

In realtà il tema della redenzione umana contiene al suo interno due micro-temi: la redenzione di Dante stesso, e da un punto di vista contestuale la redenzione politica e religiosa.
La redenzione di Dante parte da due eventi che hanno profondamente segnato la sua vita prima della stesura della Divina Commedia, ovvero la morte di Beatrice e il suo esilio. La morte di Beatrice, musa ispiratrice per molte opere di Dante, causò una profonda crisi nel poeta. Pare che a seguito della morte dell’amata, Dante si rifugiò nello studio della filosofia che gli darà le basi per la stesura della cantica del Paradiso. Inoltre, in questo periodo scrisse Vita Nova, opera che pareva già contenere al suo interno delle confessioni del Poeta, dimostrazione del percorso di autoanalisi, che in un certo senso egli stava intraprendendo.
Ma è con l’esilio da Firenze nel 1302 che inizia il periodo più difficile per Dante. La condanna all’esilio fu in realtà una sorta di contrattazione. Dante aveva subito delle accuse politiche a cui seguì una condanna alla pena di morte. Per sfuggire ad essa, l’esilio fu la sola alternativa possibile. Così Dante si ritrova in questi anni difficili ad affrontare due lutti: quello per la morte dell’amata Beatrice e quello per sé stesso, che si ritrova a vivere lontano dalla sua patria. Da ciò, la necessità di continuare il bilancio della sua vita così come lo aveva iniziato in Vita Nova ma anche il bisogno di cercare delle risposte ai suoi tormenti.

Il viaggio attraverso l’Inferno

Lo stato psicologico di Dante è evidente nello smarrimento che egli prova all’ingresso della Selva. In questo viaggio è smarrito proprio come egli si sentiva in quel momento della sua vita, dopo aver perso per sempre un amore già travagliato in vita e dopo aver abbandonato la sua città. Non è un caso che a salvarlo arrivi proprio Virgilio, che nella simbologia dell’opera rappresenta la ragione intesa come la parte razionale dell’uomo che cerca le risposte. Non è un caso che Virgilio sia la guida di Dante attraverso l’Inferno e il Purgatorio.

Per giungere alla Grazia Divina e completare il suo viaggio sino al Paradiso, l’uomo dovrà affidarsi anche alla Fede e non solo alla razionalità. Anche qui, Dante ha voluto trasmetterci una delle considerazioni alle quali era giunto, a seguito del suo percorso di meditazione. Dopo la condanna all’esilio e la morte di Beatrice, aveva bisogno di passare a un livello successivo per ritrovare la pace.
La cantica dell’Inferno è certamente la più ricca di pathos e di avventura della Commedia. Qui troviamo espressa al pieno tutta la psicologia di Dante che spesso sviene, ma altrettanto spesso nel rapporto con i vari personaggi che incontra, mostra alcune delle caratteristiche che più lo hanno contraddistinto. Spesso non prende posizioni, temporeggia lasciando le spiegazioni al Maestro Virgilio ma spesso si ritrova anche in stati di rabbia che richiamano istinti aggressivi. L’Inferno non è altro che la metafora delle sofferenze e delle tentazioni a cui siamo sottoposti in vita terrena, che Dante stesso ha dovuto fronteggiare.
La rappresentazione dell’Inferno, rappresentato come una voragine, è un’altra metafora della prima cantica dell’opera: è la stessa voragine in cui rischiamo di cadere cedendo ai nostri istinti. Ma la discesa nella voragine diventa necessaria per arrivare alla redenzione finale che Dante troverà nel Paradiso.

Gli incontri con le anime

Anche i personaggi che Dante incontra nel suo cammino non sono casuali. Ci concentreremo maggiormente ancora una volta su quelli presenti nella cantica dell’Inferno, giacché parliamo di redenzione e peccato. I personaggi che sceglie Dante sono anch’essi personaggi che hanno subito una qualche ingiustizia e che, come lui, hanno sperimentato la via della perdizione.

Per questo loro destino comune, gli sono balzati subito alla mente durante la scrittura dell’opera. Basti pensare ai celebri amanti Paolo e Francesca, condannati ad un’eternità all’Inferno solo perché si amavano. O ancora ai lamenti della selva dei suicidi, quando Dante incontra Pier delle Vigne. Per quanto i vari personaggi dell’Inferno siano effettivamente dei peccatori, la loro psiche è ben argomentata da Dante, che lascia spazio alle loro emozioni e sofferenza. Così questi personaggi divengono uno specchio attraverso cui il Sommo Poeta rivede sé stesso, ne condivide la sofferenza e incita il percorso verso la sua crescita personale.

La simbologia del contrappasso

L’incontro con questi personaggi ci porta anche a fronteggiare la loro condanna, la pena che devono subire nell’inferno senza via d’uscita. È la celebre legge del contrappasso: le anime sono condannate ad una pena analoga o contraria al peccato da loro commesso in vita. I temi psicologici che potrebbero aver spinto Dante a questa scelta potrebbero essere raggruppati in due categorie: la giustizia e il senso di esagerazione. Dante ancora una volta si trova costretto ad affrontare la triste realtà dell’esilio per cui inizia a dubitare e a ricercare un senso di giustizia più grande, che trova nella stesura della Divina Commedia.

Il tema dell’esagerazione, dell’amplificazione del peccato diventa necessario in opere di questo genere cosicché si possa tenere agganciato il lettore. Ricordiamo che siamo nel ‘300 e nulla faceva più paura alla gente della Grazia Divina. Questo dà a Dante un potere, un controllo sui suoi lettori che con l’esilio aveva perduto. Ed è proprio grazie a questo controllo che Dante decide anche di togliersi qualche sassolino dalle scarpe, compiendo accuse verso i due organi più potenti del tempo: la chiesa e la politica.

Il viaggio attraverso il Purgatorio

Attraversata la voragine dell’Inferno e facendosi scivolare lungo il corpo di Lucifero, Dante riemerge sul suolo terrestre: sull’isola del Purgatorio. Volge al termine il primo viaggio nell’inconscio di Dante. Egli lascia l’Inferno perché è finalmente pronto a lasciarsi alle spalle quell’impulsività che lo aveva caratterizzato finora. Il celeberrimo verso “e quindi uscimmo a riveder le stelle” ben esprime lo stato attuale di Dante: ha attraversato il suo momento più buio, i suoi fantasmi ed è pronto al ritorno alla vita terrena.

I temi della Cantica del Purgatorio sono infatti, in generale, più terreni. Le anime non sono condannate ad un’eternità di pena. Bensì, subiscono una punizione transitoria. Attraverso le preghiere, essi possono cambiare il loro status ed eventualmente giungere al Paradiso. Vi è il tema della presa di coscienza: le anime del Purgatorio possono essersi pentiti in punto di morte dei loro peccati, oppure hanno l’occasione di redimersi e di prenderne atto in questo luogo. Se per i peccatori dell’Inferno non vi era speranza, qui ce n’è.

Il Purgatorio è rappresentato come una montagna, dunque a differenza dell’Inferno (in cui più i peccati erano gravi più si scendeva nelle viscere della terra) qui si può “scalare” la montagna. Tale rappresentazione riflette la possibilità dell’uomo di riscattarsi anche dopo la morte. È la metafora del processo di crescita che anche Dante compie in questa fase del suo viaggio.
A questo punto, Virgilio abbandona Dante in quanto non può più proseguire con lui nel suo viaggio. Questa scelta non è dettata solo dal fatto che Virgilio sia un dannato (ricordiamo che Dante lo colloca nel limbo, ove dimorano i non battezzati). In realtà Virgilio ha rappresentato la ragione per tutto il viaggio attraverso le emozioni e le sofferenze. Finalmente Dante è diventato il padrone della sua ragione, e può proseguire da solo.

L’ascesa al Paradiso

Ma il semplice ritorno alla vita terrena non è abbastanza per il viaggio di autoanalisi che Dante percorre. Per trovare la pace, come abbiamo già anticipato, ha bisogno di abbandonare totalmente il senso razionale e affidarsi alla fede. E qui, la guida non può essere che Beatrice. Dante si ricongiunge finalmente all’amata, sebbene si sia trattato di un amore non corrisposto già in vita terrena. Qui Beatrice rappresenta la fede. Già in altre sue opere, Dante aveva descritto Beatrice come un’entità divina, venuta al mondo per permettergli di apprezzarlo di più. Nel Paradiso, questa visione si concretizza e in questo modo Dante stesso può fronteggiare il lutto per la sua perdita. Sapendola al sicuro, al suo posto nella rosa dei beati del Paradiso.

Anche nella cantica del Paradiso il tema della giustizia riemerge. Il Paradiso è rappresentato come una struttura formata di nove cerchi concentrici al cui centro vi è la terra. Ciò che lo caratterizza è che tra i cerchi non ci sono forti differenze di beatitudine. Se all’Inferno vi è una discesa basata sulla gravità del peccato, mentre nel Purgatorio un’ascesa man mano che la gravità del peccato diminuisce, nel Paradiso non c’è chi è meno e chi è più beato. Vi è un senso di giustizia. Attraverso la fede e il senso di giustizia che ne deriva, Dante può concludere il suo viaggio con la consapevolezza che ci sia qualcosa di più grande e che le nostre sofferenze, e le ingiustizie subite, verranno ripagate.

La fine del viaggio: il Dante psicologo

Il viaggio di Dante, dunque può essere interpretato come un viaggio nell’inconscio del Poeta, un’autoanalisi che egli compie su sé stesso nel momento più buio della sua vita. Non è un caso che il Sommo Poeta abbia paragonato il suo viaggio a quello di Ulisse che, anche attraverso svariati imprevisti, dovette ritrovare la retta via verso casa, e verso sé stesso.
Nonostante oltre 700 anni siano passati dalla stesura della Divina Commedia e dall’esistenza di Dante, i temi da lui trattati sono ancora attuali e i tormenti da lui affrontati possono riguardare qualsiasi uomo sulla terra. Dunque, il viaggio psicologico di Dante è quello un po’ di tutti noi, e chissà se attraverso la lettura della Divina Commedia, qualcuno possa redimersi come il Sommo Poeta che in questo caso, possiamo dirlo, fa un po’ da psicologo.

Chiara Manna per Questione Civile

Sitografia

  • www.crescita-personale.it/articoli/crescita-personale/psicologia/senso-di-colpa-psicologia-purgatorio-dante-divina-commedia.html
  • www.dire.it/25-03-2020/439065-lo-psicologo-nella-divina-commedia-ce-la-storia-di-tutti/
  • www.crescita-personale.it/articoli/crescita-personale/psicologia/consapevolezza-se-psicologia-paradiso-dante-divina-commedia.html
  • patrimonidarte.com/le-tre-guide-di-dante-tra-ragione-grazia-divina-e-fede/
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