Giulio Andreotti: il personaggio tra storia e cinema

Giulio Andreotti

Il personaggio simbolo della “Prima Repubblica” italiana: Giulio Andreotti

Con questa nuova collaborazione, gli Archivi di Storia Contemporanea e Storia del Cinema analizzeranno la vita di uno dei personaggi più famosi della cosiddetta “Prima Repubblica” italiana, ovvero Giulio Andreotti. E ciò non solo dal punto di vista storico ma anche cinematografico, parlando del film di Paolo Sorrentino a lui dedicato, “Il Divo”.

Cenni sulla vita di Giulio Andreotti

Giulio Andreotti nasce a Roma il 14 gennaio 1919. Frequenta il Ginnasio “Ennio Quirino Visconti” e il liceo “Torquato Tasso”. Successivamente, nel 1938,  si iscrive presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”, aderendo alla Federazione degli universitari cattolici (FUCI).

La carriera politica di Giulio Andreotti nei primi anni post-bellici

Andreotti è tra i fondatori della Democrazia Cristiana (partito nato in clandestinità verso la fine del 1942 dagli ex-membri del Partito Popolare Italiano e dall’associazionismo cattolico).

Il suo ingresso in politica lo deve ad Alcide De Gasperi, primo segretario della DC. Membro della Consulta Nazionale (un Parlamento “provvisorio”) prima, successivamente entra all’Assemblea costituente.

Dal 1947 al 1954 ricopre l’incarico di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dal IV al VII Governo De Gasperi e nel I Governo Pella, promuovendo importanti provvedimenti per il teatro e l’industria cinematografica.

Nel 1954 è Ministro degli interni nel I Governo Fanfani, ma solo per undici giorni. Diventa Ministro delle finanze nei Governi Segni e Zola, dal 1955 al 1957.

Ricopre in vari governi anche l’incarico di Ministro della Difesa, tra cui in quello di Ferdinando Tambroni (marzo – luglio 1960) e nei primo due Governi Moro (1963-1966).

Gli anni ’70 e ’80 : la Presidenza del Consiglio

Nel 1972 Andreotti diventa per la prima volta Presidente del Consiglio dei ministri. Il primo dura pochi giorni, in quanto non ha ottenuto la fiducia dal Parlamento.

Ottiene il reincarico e forma un secondo Governo, che durerà circa un anno. In quegli anni il contesto internazionale appare piuttosto teso; sono infatti gli anni della fine della convertibilità del dollaro in oro, decisa dal Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.

Torna ad essere Ministro, questa volta del bilancio, in altri due Governi Moro (IV e V); in quel momento affronta la crisi economica ed energetica dovuta alla Guerra del Kippur (in quanto i Paesi OPEC aumentano il prezzo del petrolio).

Dal 1976 fino al 1979 forma ben tre governi.

La solidarietà nazionale e la morte di Aldo Moro

Famosa in Italia è la stagione della “solidarietà nazionale”, partita dall’impulso del segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer. L’obiettivo è quello di creare un “compromesso” tra DC e PCI per superare i problemi che in quel momento il Paese sta vivendo, tra cui crisi economica e terrorismo. Questa proposta vede l’apertura del Presidente democristiano Aldo Moro.

Dopo la caduta del III governo Andreotti, si arriva ad un accordo, proprio grazie a Moro: un governo democristiano sostenuto dall’esterno dai comunisti. Andreotti si appresta così a formare il suo quarto governo.

Il 16 marzo, giorno della fiducia a Montecitorio, Aldo Moro, mentre si sta recando in Parlamento, viene rapito da un commando delle Brigate Rosse in via Fani, a Roma. Nonostante questo, il IV governo Andreotti ottiene la fiducia, anche dai comunisti.

Durante la prigionia del Presidente DC, Andreotti usa la linea della fermezza, rifiutando di trattare con i terroristi. La fine, come sappiamo, è la peggiore: Moro viene trovato morto dentro una Renault 4 rossa il 9 maggio, in Via Caetani.

Nonostante il tragico episodio, il governo porterà a casa alcuni risultati come la Legge Basaglia (legge n.180/1978), che chiude i manicomi e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (legge n.833/1978), proposto da Tina Anselmi, prima donna a ricoprire il ruolo di ministro.

Il suo quarto governo cade l’anno successivo, quando il PCI, al rifiuto di Andreotti della loro richiesta di un’attività più diretta all’interno dell’esecutivo, passa all’opposizione.
Forma un quinto governo, che però dura solo dieci giorni, in quanto non ottiene la fiducia.

Ministro nei Governi Craxi

Nel 1983 diventa Ministro degli Esteri nel primo governo di Bettino Craxi. In quel periodo affronta il dirottamento della nave da crociera “Achille Lauro” e la crisi di Sigonella, caso in cui si è rischiato un “incidente” diplomatico con gli Stati Uniti.

Fondamentale il suo impegno nella Conferenza di Stoccolma del 1986 per il disarmo dell’Europa e anche la sua attenzione per il Paesi del blocco sovietico; avvia infatti una collaborazione di Gorbaciov.

Nel giugno del 1986 Craxi si dimette. Andreotti riceve l’incarico di formare un  nuovo governo, ma non riesce in quanto lo stesso Craxi si oppone, formando di conseguenza un secondo governo, che dura fino all’anno successivo; in questo Andreotti rimane comunque Ministro degli Esteri.

Gli anni ’90: gli ultimi Governi e la scoperta di GLADIO

Nel 1989 nasce il suo sesto Governo. Tra i provvedimenti le discusse leggi “Martelli” (sull’immigrazione) e Mammì (sul sistema televisivo). Nel 1991 nasce il suo settimo ed ultimo Governo.

Nel frattempo decide di mettere a disposizione del giudice Felice Casson gli archivi del SISMI, facendo venire allo scoperto l’esistenza di un’organizzazione segreta denominata GLADIO. Essa sarebbe nata nel 1956 da CIA e SIFAR, con lo scopo di bloccare “un’invasione comunista” in Italia.

Il 1° giugno viene nominato Senatore a vita; l’esperienza del VII Governo Andreotti si conclude nel 1992.

Muore il 6 maggio del 2013.

Il cinema italiano come cinema storico

Il cinema italiano è, e forse sarà per sempre, un cinema neorealista.

Il senso di questa etichetta andrà inteso più ampiamente rispetto al valore a cui siamo solitamente abituati. Il neorealismo prende sì le mosse dai registi che siamo sicuri i lettori conoscano, quali Visconti, Rossellini, De Sica, ma non si ferma qui. Il cinema italiano trascende la metodologia narrativa del neorealismo, nata da quell’impellente necessità di narrazione del vero, per proiettarsi su un più ampio piano che definiremo storico.

Il cinema italiano è un cinema storico in un senso manzoniano, o più genericamente, illuministico, del termine: la Storia, con la S maiuscola, va raccontata nella sua realtà fattuale, nessun evento va logicamente inventato; i metodi narrativi con cui raccontare tali eventi sono però a completa discrezione del narratore, il regista.

Giulio Andreotti per Paolo Sorrentino

Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino entra pienamente in questa quadra che si è data al panorama cinematografico nostrano. Il Divo, non è un mistero, è Giulio Andreotti: ed è forse proprio dal titolo che possiamo avere la misura di ciò che questo film è, e ciò che questo film vuole fare.

In 110 minuti si attraversa l’ultimo governo del Presidente, quello del biennio 1991-1993. I principali fatti narrati sono inerenti al biennio di svolta nella storia dell’Italia che ci fa transitare dalla Prima repubblica alla Seconda, per usare termini temporali ormai ampiamente correnti.

Nel merito, gli eventi principali del film sono: la fiducia al VII governo Andreotti, le elezioni per il Presidente della Repubblica, la scoperta della loggia massonica P2, i presupposti rapporti tra la politica e la malavita, ovvero il cosiddetto rapporto Stato-mafia, infine l’inchiesta Mani Pulite. In tutti questi eventi Giulio Andreotti è implicato più o meno direttamente, più o meno consapevolmente.

Il Presidente e il Divo: una narrazione a due ritmi

Da questo punto di vista Sorrentino è del tutto imparziale (almeno in linea di massima, ma vedremo tra un attimo, una possibile virata in una direzione diversa): il Divo non è mai artefice, vittima o colpevole delle pagine più grigie, nere e, permetteteci, strane della fine della Prima repubblica.

Per intenderci, alla prima seduta della Camera dei deputati, un’ampia ala parlamentare solleva manette e cori di disprezzo nei confronti di Andreotti e della sua «corrente». Il Presidente però è sempre impassibile, sia ai plateali gesti dei deputati, sia alle contro-accuse della DC che provengono dai suoi banchi.

Sorrentino racconta insomma la storia per quella che è stata, per quella che ognuno di noi può spesso, e tristemente vedere, nelle aule del nostro Parlamento.

Questa è la prima voce, il primo ritmo a cui il regista ci racconta la vita di Andreotti. Questa vita però, per sua stessa ammissione nel titolo esteso che appare in apertura, è straordinaria.

Lo abbiamo tralasciato in precedenza, ma c’è un momento in particolare nella pellicola (ve ne sono in realtà anche altri, ma ci concentreremo su quello più «estremo», per così dire) che sembra distaccarsi completamente da ciò che è il clima e il tema del film.

Questo momento è proprio la sequenza d’apertura:  sulle note di Toop toop dei Cassius, si dipana per tre minuti un montage che ricalca quasi i tempi di un video musicale, in cui vengono rapidamente presentate le morti violente di «uomini illustri» di quel periodo, con tanto di nomi a schermo: Dalla Chiesa, Pecorelli, Ambrosoli, Calvi, Falcone e lo stesso Aldo Moro rapito.

Se questo non bastasse a rendere spettacolare e così «fuori tono» dei bui momenti italiani, la tensione di due morti viene resa rallentando la cassa in quattro quarti del pezzo pop-rock, come a simulare un battito cardiaco, per poi far ripartire la melodia, al primo colpo di pistola.

Cosa significa il cambio del ritmo

L’idea del regista forse è stata quella di far distaccare dall’empatia storica lo spettatore, come se quelle che vedesse a schermo fossero delle morti di un qualsiasi film, e come tali, di fantasia; ma al di fuori di questa lettura (che a noi pare comunque plausibile, dato che non tutti i morti hanno riportato a schermo il loro nome), quello che più conta è la volontà di parodiare il regista che «osa» sul fatto storico: si pensi in merito, ad esempio,  ai tanti film di respiro action su veri conflitti bellici.

Sorrentino sa bene che nella teoria il suo film sarebbe potenzialmente noioso e pedante, ma sa altresì come rendere – pur decontestualizzando – la sua narrazione in movimento, pur mantenendola totalmente veritiera, senza che questa pecchi di pedanteria né di irrispettosità nei confronti di vere morti, di vere stragi, di Storia vera.

Margherita Rugieri e Salvo Lo Magno per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

Per le valutazioni di carattere critico (cinematografico e narratologico):

  • Rondolino e Tomasi, Manuale del film, Torino, UTET, 1995
  • Pierantonio Frare, Leggere «I promessi sposi», in Battistini (a cura di), Guida alle grandi opere, Bologna, Il Mulino, 2020

Per le informazioni sul film:

  • http://www.archiviodelcinemaitaliano.it/index.php/scheda.html?codice=OPESWN874676

Vita e la carriera politica di Andreotti:

  • https://giulioandreotti.org/biografia
  • http://old.sturzo.it/archivio-andreotti/la-biografia
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