La sorpresa: l’elezione di Papa Leone XIV
A chi venga a chiedere riguardo al profilo del nuovo Papa, Leone XIV, si può solo rispondere che l’abbiamo visto deglutire, emozionato ma composto, in quello splendido tardo pomeriggio romano d’inizio maggio, mentre si affacciava su piazza San Pietro fra grida di giubilo.
Certo meno entusiasticamente la folla radunata dopo la fumata bianca (circa alle 18:00) ha accolto l’annuncio di un nome, anzi due, e un cognome che nulla dicevano ai più: Robert Francis Prevost. Non era Parolin – incoronato dai giornali italiani senz’alcun appiglio concreto, forse per campanilismo.
Non era uno dei due cardinali social dell’ala progressista, Matteo Zuppi e Luis Antonio Tagle, fortemente auspicati da quanti hanno amato Papa Francesco, e i cui video erano divenuti virali. Non era nemmeno uno dei reazionari anti-bergogliani, che pure raccolgono un folto séguito tra i fedeli (in testa a tutti Raymond Leo Burke, capofila di una potente e radicale messa in discussione del pontefice gesuita nell’àmbito del Sinodo indetto da quest’ultimo).
Si tratta di un agostiniano statunitense, nato nel 1955 a Chicago, di origini italo-francesi e spagnole, laureato in matematica oltreché in filosofia e impegnato nelle missioni cattoliche in Perù fino alla convocazione a Roma per l’assegnazione della porpora (2023) e d’incarichi di notevole prestigio nei vari dicasteri vaticani.
Comunque, un signor nessuno per chi stava in piazza o seguiva in streaming questo momento epocale.
Leggi non scritte
Ma è bastato il qui sibi nomen imposuit Leonem XIV per riaccendere l’entusiasmo di quanti, evidentemente stando lì in quella piazza per qualcosa, conoscono le raffinate leggi onomastiche papali. Leggi non scritte, si badi – ma ferree. E la principale è questa: la scelta del nome è un atto di omaggio all’ultimo pontefice che aveva scelto quel nome: ad esempio, a considerare i pontefici dell’età postunitaria, si rivela composta di «Pii» la schiera dei pontefici reazionari.
Costoro, a livello politico, erano sostenitori di totalitarismi intolleranti; e non li sostenevano, si badi, nonostante il loro totalitarismo, ma proprio in virtù di questo, ritenuto un male minore rispetto alla democrazia «massonico-giudaica»; si fa riferimento ovviamente al borbonismo, al fascismo, al franschismo e finanche, in maniera molto complessa e contraddittoria, al nazismo: tutti regimi appoggiati almeno da un papa «Pio».
I pii ruggenti
Su Pio IX si legga questo articolo per avere qualche idea, oltre a Kertzer (2019: vedi bibliografia); Pio X, patrono di ogni complottista che creda nel governo del mondo da parte di élite mondialiste massoniche etc., è ricordato per aver istituito egli stesso un servizio segreto di sorveglianza su modello inquisitorio (sodalitium pianum).
L’XI Pio ha aperto le porte (sante) al fascismo definendo Mussolini «dono della Provvidenza», e ordinando Te Deum di giubilo alla conclusione della «crociata in Etiopia» salvo amaramente pentirsi di questa scelta in tarda, tardissima età.
Il XII Pio prosegue sulla linea del predecessore: anzi, deliberatamente (come dimostrano dati ormai incontrovertibili – cfr. Kertzer 2014) reinnesta ufficialmente nel solco fascista (e antisemita) una Chiesa che proprio negli ultimi tempi del pontificato precedente, era stata sul punto di svoltare completamente, sconfessando i concordati coi regimi autoritari, prendendo le distanze da Franco e «porgendo una mano» alle stesse forze socialiste (cfr. Fattorini).
Non c’è stato (e si dubita ci sarà mai) un XIII Pio.
Il pio leone
Che i nomi non corrispondano alle cose, e tanto più in quest’àmbito, par ulteriormente provato solo che si richiami alla mente il più celebre «Leone» fra i papi dell’età considerata (e del resto l’unico): Leone XIII, papa Pecci (pontifex:1878-1903).
Come Leone XIV non ha mancato di sottolineare, è a questa statuaria e gentile figura che egli vuol richiamarsi sibi nomine imposito Leonis.
Chi era costui? Sebbene irriducibile al ritrattino che non si può che abbozzare in così poche righe, è pur possibile parlare di Leone XIII come di un Papa davvero «pio»: si tratta del primo pontefice che ha preso in carico seriamente la questione operaia, usando parole estremamente forti contro i «padroni» e rivendicando alla Chiesa un ruolo di mediazione nella lotta di classe (chiaramente condannata, ma di cui veniva preso atto), in favore dei subalterni.
Certo, restavano fermi il «sacro» diritto alla proprietà, una certa dose di rassegnazione sociale e la condanna della protesta violenta e delle teorie comuniste: in fin dei conti, su questo piano, nulla di troppo diverso da un partito che oggi si definirebbe di centro-sinistra (Gesù diceva: chi ha orecchie per intendere…). Similmente, passi avanti (sempre da commisurare all’epoca di cui parliamo) sono stati fatti da Leone XIII nella comprensione del ruolo della donna nella società e sulle modalità di proselitismo missionario.
Accanto a questo, conviveva in Pecci un afflato mistico non comune, perfino esagerato agli occhi di oggi (il Nostro si distingueva per una serie di disposizioni e preghiere sugli esorcismi), ma comunque testimone di una fede radicata nella tradizione e in nulla concessiva sul piano dottrinale.
Leone XIV
In simili termini parrebbe lecito schizzare un primo ritratto del nuovo pontefice. Anzitutto si sarà notata l’insistenza – tanto nel discorso inaugurale quanto nella prima omelia concistoriale e nel messaggio – preghiera di domenica – sulla componente più propriamente teologica, anzi cristologica e mariologica, oggettivamente lasciata più sullo sfondo da Francesco.
La «pace» subito evocata da Prevost è immantinente chiosata nei termini di «pace di Cristo risorto» e rimessa nelle mani della « Regina della Pace» nell’Angelus, dopo cenni piuttosto brevi – quasi verrebbe da dire formulari – ancorché potenti, alla drammatica situazione in Ucraina e in Medioriente.
Non vi sono stati, finora, proclami del tenore di quelli bergogliani (che arrivò a parlare di «genocidio» per quanto sta accadendo a Gaza e che ebbe il coraggio di parlare di «coraggio della bandiera bianca»). Francesco aveva certamente una sensibilità radicata sia nella fede cristiana cattolica, sia in un umanesimo che prescindeva dal credo: ciò che ne ha fatto un faro anche per laici o religiosi di altra fede (e che ha suscitato, va detto, enormi incomprensioni e lacerazioni interne alla Chiesa).
Poche e sentite parole
Rispetto all’entusiasmo parresiastico e un po’ gaffeur di un Papa – Francesco – che se n’è fatte sfuggire tante (in un senso e nell’altro), «papa di strada» qual era, che disdegnava finanche i paramenti più sontuosi (benché altamente significativi per i fedeli) e l’auto blu, Leone XIV sembra d’indole affatto diversa.
È evidente che si tratta di un uomo di poche parole, sapientemente calcolate e piene di allusioni anche programmatiche. A chi ascolti l’omelia della prima messa del pontefice (rivolta, a differenza di Francesco, ai soli cardinali e non al popolo, tenuta nella cappella Sistina, non in una chiesa, ancorché importante, come Santa Maria Maggiore), si delinea, quasi più dai non detti che dai detti, una figura di pontefice molto salda in una fede ch’egli sente il dovere non solo di ribadire, ma di opporre all’umanesimo ateo che pure rispetta la religione e fa di Cristo un grande personaggio, un eroe, una guida laica, ma non Dio.
Per capir meglio, penso che dovremmo mettere in relazione il passaggio che apre questa prima omelia, in cui il Papa insiste sulla necessità – pur nelle difficoltà imposte da un mondo altamente secolarizzato – di testimoniare Cristo e il cristianesimo, coll’appello ai giovani a «non avere paura» (citazione di Giovanni Paolo II, davvero scoperta).
«Non avere paura» suona similmente al «non fatevi rubare la speranza» di Bergoglio; ma Leone è subito andato specificando che la «paura» di cui parla è quella che il mondo vorrebbe insinuare in chi si proclami cristiano e proclami il Cristianesimo quale via di salvazione, in un mondo ostile. Quindi, pare che per Leone prima venga il discorso prettamente teologico – che è dichiarato peraltro l’unico possibile per conseguire una vita felice (con lievi ma ferme polemiche del mondo intellettuale, cui rimando in bibliografia) –, e poi l’azione, sempre mediata dalla preghiera.

Un’incognita politica
È proprio questo spostamento del baricentro sull’asse teologico anziché su una missione umanitaria (e politica: non nascondiamocelo), a differenziare Prevost da Bergoglio, a meno di clamorose (e possibili) smentite nei prossimi tempi – ma lo stile sarà comunque assai diverso.
Ed è proprio questo che mette in serio imbarazzo chi, come chi scrive, debba profilare politicamente questa figura: scavando nel passato di questo grande uomo, infatti, lo si trova fortemente centrato in Cristo e in un messaggio evangelico; mentre, a livello politico le posizioni prevostiane appaiono improntate a una solida moderazione, che oserei definire «democristiana».
Sulla questione ucraina, il cardinal Prevost non ha la stessa nettezza nel condannare (anche) il blocco occidentale per aver soffiato venti di guerra («abbaiato alle porte della Russia», aveva detto Francesco), e il richiamo a una pace «giusta» si pone, forse, diversamente rispetto all’integralismo pacifista (fortemente cristiano, però) del predecessore. D’altro canto, sul fronte «migranti» Prevost ha rampognato – via X – nientemeno che il vice-presidente degli USA, il «cattolicissimo» Vance, con semplici e nette parole, ponendosi in continuità con la linea dell’accoglienza che aveva segnato il principale scarto fra il pontificato bergogliano e quello ratzingeriano, erto a custode della civiltà occidentale e cristiana contro l’Islam e le altre visioni del mondo.
Donne e diritti secondo Leone XIV
C’è però un settore in cui Prevost appare ben meno «progressista» di Francesco: quello delle aperture alle donne e sui diritti civili. Mentre Bergoglio aveva, pur senza portare alle estreme conseguenze il suo gesto, avviato non solo un’inclusione di donne nel governo pontificio, ma pure un’iter di valutazione del diaconato femminile, è da rilevare la secchezza con cui Prevost ha bollato i tentativi di far accedere le donne al sacerdozio come «portatori, e non risolutori, di problemi»; inoltre le parole sugli omosessuali sono di forte distacco: queste persone, secondo il nuovo Papa, sono vittime della destabilizzante propaganda gender, tanto cara come capro espiatorio alle destre di tutto il mondo.
Insomma, Leone XIV è piuttosto sfaccettato: irriducibile, più irriducibile dei suoi predecessori – che pure lo erano – a categorie politiche consolidate come «conservatore» (Ratzinger) e «progressista» (Francesco). Si potrebbe parlare, appunto, di un pontefice più «cristiano» che, se proprio volessimo applicargli un’etichetta, «democristiano» (moderatamente aperto alle istanze popolari, inclusivo ma poco aperto ai diritti civili, pacifista ma senza anti-occidentalismi).
Ciò che, comunque, è certo, è che i tentativi di tirarlo per la mantellina, tanto da parte di Trump, che vorrebbe arruolare il compatriota fra le fila dei MAGA (per il resto nient’affatto entusiasti dell’elezione pontificale); quanto da parte della sinistra anche laica più vicina a Bergoglio, sono forzature. Per ora possiamo dire che è un papa. Cattolico. Un po’ vecchia maniera, ma non troppo.
Per un’analisi più approfondita, torneremo a occuparcene quando avremo più informazioni.
Andrea Monti per Questione Civile
Bibliografia:
E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino, 2007
D. I. Kertzer, Il patto col diavolo. Mussolini e papa Pio XI. Le relazioni segrete fra il Vaticano e l’Italia fascista, Rizzoli, Milano, 2014
Id., Il papa che voleva essere re. 1849: Pio IX e il sogno rivoluzionario della Repubblica romana, Rizzoli, Milano, 2019
G. Vian (a cura di), Storia del Cristianesimo vol. IV. L’età contemporanea, Carocci, Roma, 2023 (ma anche edd. precedenti)
Video su YouTube.it o mediasetinfinity.it per i discorsi del Papa.