Quando l’omosessualità non era ancora un tabù: ce lo racconta Platone
«… quello che non se ne va, ma rimane anche quando il tuo corpo sfiorisce, dopo che tutti gli altri se ne sono andati, sono io».
Tra le dichiarazioni d’amore più belle che esistano c’è forse quella che fa Socrate ad Alcibiade e che Platone riporta nel dialogo Alcibiade Primo. Socrate e Alcibiade erano due uomini e per lo più allievo e maestro, dunque con una grande differenza d’età.
Socrate, Leonardo da Vinci, Donatello o Federico García Lorca hanno tutti avuto qualcosa in comune: una mente geniale e relazioni d’amore con persone dello stesso sesso.
L’omosessualità nell’antica Grecia
Nell’antica Grecia, così come a Roma, l’omosessualità non era un tabù e non era ancora un identificatore sociale. Greci e romani vivevano la sessualità e l’etica ad essa legata in modo totalmente differente rispetto ad oggi.
Non essendo ancora diffuso il cristianesimo con la sua dottrina, il paganesimo faceva sì che non ci fosse nemmeno una netta distinzione tra omosessualità ed eterosessualità. La civiltà greca non distingueva il desiderio o il comportamento sessuale dal sesso biologico, piuttosto valutava quanto quel desiderio o comportamento si adattasse alle norme collettive.
Ad Atene, il rapporto uomo-donna non si posizionava al centro dell’organizzazione sociale, nonostante l’importanza che gli veniva riconosciuta per la sua funzione riproduttiva. Ad occupare un ruolo di spicco era il rapporto omosessuale, determinante per la formazione del futuro cittadino.
Secondo diverse fonti, le relazioni tra uomini includevano normalmente un adulto e un giovane: l’uomo più anziano avrebbe assunto il ruolo attivo. Rapporti di questo tipo, che prendevano il nome di pederastìa, sono anche descritti come “affettuosi” e “amorevoli”, centrali nella tradizione ellenica.
Era una pratica educativa della società greca la pedofilia, forma di ammaestramento del cittadino in molti aspetti. Pertanto, al di là del dominio sessuale, questa prassi si estendeva alla conoscenza accademica, militare o politica.
Socrate: il prmo teorico dell’amore omosessuale
Il primo teorico dell’amore (erо̄s) fu Socrate, la cui aspirazione fu quella di stabilire con i ragazzi dei rapporti esclusivamente spirituali.
Ciò risulta non solo dalle testimonianze del suo allievo, Platone, ma anche da altri testimoni, come Senofonte. Per Socrate la continenza sessuale era indispensabile per poter aspirare al dominio della mente sul corpo.
L’amore tra gli insegnanti e i loro alunni superava l’aspetto fisico, poiché rappresentava una metafora della connessione tra filosofia e poesia.
Un aspetto che coglie di sorpresa è infatti il fatto che Socrate temeva la bellezza mascolina, poiché era a sua detta una tentazione. Pertanto, egli non rifiuta gli amori maschili, bensì respinge gli amori puramente carnali. Per questo motivo, Socrate resiste al bellissimo Alcibiade, che aspirava a diventare il suo eromenos.
Anche se Socrate fu condannato a morte nel 399 a.C., accusato di corruzione dei giovani ed eresia religiosa, al suo processo negò tutte le accuse contro di lui. Sosteneva che piuttosto sarebbe dovuto essere onorato come un benefattore pubblico, per il ruolo d’insegnante che aveva svolto. Nonostante l’ingiustizia della sua accusa, Socrate decise di non fuggire dalla punizione dettata dalla legge, accettando di assumere la cicuta per fornire un’ultima lezione morale ad Atene.
È lecito notare che di tutte le opere greche il cui tema principale era l’amore tra persone dello stesso sesso, nessuna è sopravvissuta.
Il Simposio come manifesto della letteratura omosessuale
Uno dei cardini tradizionali della letteratura omosessuale è Il Simposio: dialogo platonico ambientato in casa di Agatone nel 416 a. C.
In questo testo si vedono Socrate e i suoi commensali discutere su che cos’è l’Amore. Vengono presentati due tipi d’amore: L’amore carnale, tra un uomo e una donna, finalizzato alla propagazione della specie, è di livello più basso, mentre quello celeste: tra due uomini, è di livello superiore, spirituale. Questo secondo tipo d’amore ha finalità educative, attraverso cui l’amante (anziano maestro) spinge l’amato (giovane tra i dodici e i diciassette anni) alla virtù.
Amore viene quindi personificato con una natura intermedia tra umano e divino il cui fine ultimo è il raggiungimento del Bello, sia a livello spirituale che carnale.
Il mito di Aristofane
Emblematico del dialogo è il racconto del mito dell’androgino presentato dal commediografo Aristofane, che spiega come originariamente esistessero tre generi umani: quello maschile, quello femminile e quello androgino, che aveva caratteristiche maschili e femminili. Nell’età primitiva, tutti gli uomini avevano una forma rotonda, con quattro braccia, quattro gambe, due volti e quattro orecchie.
Essi si muovevano avanti e indietro con movimenti circolari. A causa del loro potere che aveva finito per minacciare l’Olimpo, Zeus si consultò con gli altri dei per decidere quale provvedimento punitivo adottare. Il re degli dei convenne che sarebbe stato giusto indebolire gli uomini e renderli così allo stesso tempo più utili agli stessi dei, dal momento che il loro numero si sarebbe accresciuto.
Così decise di separare le due metà. Il piano del padre degli dei funzionò, gli umani così divisi divennero più deboli e soprattutto disperatamente impegnati nella ricerca della metà perduta: l’unico possibile completamento che li avrebbe resi nuovamente interi. Da ciò ha origine l’amore, che è il desiderio delle due metà di riunirsi nuovamente. Ovviamente coloro che derivano da un essere “tutto-maschile” o da uno “tutto-femminile” proveranno attrazione per persone del loro sesso.
Con ciò viene presentata l’omosessualità come qualcosa di totalmente naturale.
Il discorso di Socrate viene brutalmente interrotto dall’arrivo del giovane e bellissimo comandante Alcibiade. Egli, ubriaco fradicio, racconta come invano avesse cercato di portarsi a letto Socrate, a sua volta innamorato di lui, ma che grazie alla propria temperanza ha saputo resistere ad ogni tentazione.
La questione dell’omosessualità oggi
Sebbene l’Italia abbia riconosciuto, a partire dal 2016, le unioni civili per le coppie omosessuali la resistenza nei confronti dell’omosessualità è ancora profondamente radicata nel Paese. A incidere, sicuramente, è anche la presenza del Vaticano, che continua a condizionare fortemente l’immagine della famiglia, la visione della sessualità e la costruzione dell’etica. Basti pensare alla mancata opportunità data al DDL ZAN, attorno al quale si sono radunate ragioni contrastanti, diritti mancati e sceneggiate in parlamento. Insomma, la strada è tutta in salita.
Eppure, nel passato che tanto si decanta, l’omosessualità era tutto fuorché un peccato. Con l’arrivo del cristianesimo la sessualità e gli impulsi sono stati messi a zittire, seppellendoli in un silenzio malevolo, surrogati come qualcosa di sporco e lascivo, da tenere al guinzaglio. È interessante notare come il concetto di normalità sappia mutare forma e carattere, nel corso del tempo. I preconcetti che possono esserci dietro qualsivoglia argomento, dipendono per gran parte dal contesto in cui si nasce, cresce e da cosa si ascolta sin da bambini. Quel che viene considerato normale, l’educazione che viene impartita per essere considerati tali, nasce e fa radici, imponendo standard che di moralmente giusto non hanno nulla.
Se molti passi avanti sono stati fatti in considerevoli aspetti, rispetto al passato, è importante tener conto anche dei passi indietro. Solo guardando in entrambe le direzioni, sarà possibile attraversare la strada e andare oltre. Ginevra Tinarelli per Questione Civile
Sitografia
www.storicang.it
www.greciaroma.com
www.bloccostudentesco.org

