Le figure liminali nel folklore tra regole e ordine

Le figure liminali nel folklore e il confine tra i mondi: una sfida alle regole e all’ordine

Nel cuore del folklore di ogni cultura si nascondono le cosiddette figure liminali, ovvero personaggi misteriosi e ambigui, affascinanti e inquietanti. Si tratta di streghe, spiriti, sciamani, fate, uomini selvatici e tutti quegli esseri che non appartengono mai completamente né al mondo umano né a quello sovrannaturale. Sono presenze “di mezzo”, capaci di attraversare soglie che agli altri sono precluse e di agire, quindi, da intermediari. D’altra parte, si chiamano figure liminali proprio perché occupano lo spazio delicatissimo del limen (dal latino «confine») che separa due mondi diversi.

Queste figure non sono solo il prodotto dell’immaginazione popolare, ma soprattutto il riflesso di una tensione antropologica profonda, avvertita in modo trasversale dalle società umane di ogni luogo e di ogni tempo: l’esigenza di dare forma e voce a ciò che sta tra la vita e la morte, la necessità di rendere razionalmente comprensibile e accettabile la paura per ciò che c’è dopo l’ultimo respiro.

“Affabulati: il folklore visto da dentro”
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Questo è il settimo numero della Rubrica di Area dal titolo “Affabulati: il folklore visto da dentro”, appartenente all’Area di Scienze Umane

Streghe e uomini selvatici: figure liminali tra potere e paura

Tra le figure liminali più celebri e complesse della tradizione folklorica troviamo le streghe. Da secoli, esse rappresentano tutto ciò che di doppio può esserci nel femminile: guaritrici e malefiche, sagge e pericolose, seducenti e terrificanti. Vivono ai margini del villaggio, nei boschi, nelle grotte o in case isolate, e già questo le pone in una condizione di confine tra la cultura (il villaggio) e la natura (ciò che è al di fuori del perimetro e delle mura della città). Questa condizione le rendeva, agli occhi degli uomini medievali e rinascimentali, creature ibride dotate di un potere ibrido.

Ciò che, però, rendeva la strega un obiettivo di caccia non solo nelle fiabe ma anche e soprattutto nella vita reale, era la sua capacità di incarnare la paura collettiva verso chi rompe le regole: la strega non è madre, non è moglie e non è sottomessa a nessuna autorità. Non potendo incasellarla nei rigidi schemi sociali di un tempo, il folklore – specialmente quello trasmesso in epoca cristiana – ha quindi deciso di demonizzarla, distruggendo così vite e conoscenze. Dietro la figura della strega, infatti, si celano forme antichissime di conoscenza legate al ciclo della vita e ai ritmi naturali delle piante e di tutti gli esseri viventi. Sono diverse, a tal proposito, le ricerche etnografiche che hanno mostrato come in molte culture rurali europee (basti pensare alle masche piemontesi) queste donne fossero consultate tanto per togliere il malocchio quanto per favorire la fertilità.

Spiriti in transito: figure liminali tra vita e morte

Un’altra grande famiglia di figure liminali è quella degli spiriti. Fantasmi, anime in pena e morti viventi sono presenze che si aggirano ai margini del mondo dei vivi, senza trovare pace. Spesso si tratta di defunti senza sepoltura, oppure di vittime di morte violenta e ingiusta, più raramente di spiriti trattenuti da un compito non compiuto. Nel folklore italiano e non solo, lo spirito che torna è una figura liminale per eccellenza: appartiene al mondo dei morti ma continua a camminare tra i vivi.

Di casi simili, in tal senso, se ne trovano ovunque, ma senza dubbio quello più famoso è legato alla festa di Halloween e alle numerose celebrazioni legate ai defunti sparse per tutto il globo, tutte con le proprie figure tipiche. In Giappone, per esempio, gli yūrei sono spiriti vaganti simili ai nostri fantasmi: vestiti di bianco, senza piedi e legati alla terra da rancori o dolori. In entrambi i casi, è la sospensione a definirli: non più vivi, non ancora del tutto morti.

Il ruolo narrativo di queste figure liminali è duplice. Da un lato, rappresentano un monito morale: chi ha vissuto male, chi è stato crudele o chi è morto in peccato è destinato a non trovare pace dopo la morte, perché in vita ha tolto pace e giustizia agli altri. Dall’altro lato, però, queste figure sono ponti tra i mondi, mediatori tra i vivi e l’aldilà. Chi riesce a comunicare con loro (un sensitivo, uno sciamano o una persona che sogna i propri cari defunti) assume anch’egli una posizione liminale, dimostrando che la morte non è una cesura netta, ma solo un passaggio a un’altra fase dell’esistenza.

Sciamani e guaritori: figure liminali tra il visibile e l’invisibile

D’altra parte, in molte culture, la figura dello sciamano incarna esplicitamente la dimensione liminale. È colui (o colei) che, attraverso rituali, trance, visioni o uso di sostanze psicotrope riesce a viaggiare tra i mondi: quello umano e quello degli spiriti, quello dei vivi e quello dei morti. Lo sciamano non è mai completamente un membro della comunità, ma neanche ne è totalmente esterno: vive spesso ai margini, è solitario ed è un individuo considerato diverso da tutti gli altri poiché segnato da un trauma o da una malattia che lo ha trasformato in mediatore.

L’etnografia ce ne offre infiniti esempi. Tra i Nenec della Russia settentrionale o i Quechua delle Ande – per citare due casi di diversa estrazione geografica – lo sciamano è il custode delle memorie del gruppo e il garante del legame con la terra. Ma anche nel folklore europeo restano tracce di queste figure liminali: gli uomini della notte descritti da Carlo Ginzburg ne I benandanti sono un esempio affascinante, poiché trattasi di friulani del Cinquecento che, in sogno, proteggevano la fertilità dei campi, anche lottando contro gli spiriti. Erano visti come guaritori, ma anche sospetti: troppo diversi per essere integrati del tutto nella società, ma troppo potenti per esserne esclusi.

Lo sciamano è, come la strega, ambiguo: guarisce ma può maledire, aiuta ma può manipolare. La sua forza risiede nella sua posizione instabile. È grazie alla sua capacità di abitare la soglia che può vedere ciò che altri non vedono. Le figure liminali come lo sciamano incarnano quindi una saggezza che viene dalla separazione e dal passaggio: due momenti decisivi in ogni trasformazione.

La metamorfosi: casi limite di figure liminali

Tra le figure liminali più emblematiche troviamo anche quelle che uniscono tratti di specie diverse, com centauri, sirene, fauni e uomini-lupo. Queste creature spesso sono il risultato di una metamorfosi, altro elemento centrale della liminalità. Non a caso, molte culture associano il momento della trasformazione (fisica, simbolica o rituale) a stati liminali, dove l’identità è sospesa e tutto può accadere.

Il folklore europeo è ricco di racconti di licantropi: uomini che, per colpa o per scelta, si trasformano in lupi. Ma anche fuori dall’Europa troviamo figure simili: i nahuales in Mesoamerica (sciamani che assumono sembianze animali o vegetali) o i kitsune giapponesi (spiriti che si incarnano in volpi capaci di mutare forma e ingannare gli umani).

La metamorfosi, però, nel folklore è raramente gratuita. Spesso è una punizione, una maledizione o il prezzo di un patto, come dimostrano i miti greci e romani, ma può anche essere un’occasione per conoscere l’altro o anche per conoscere altri aspetti della propria identità. Le figure liminali che mutano ci ricordano che l’identità non è un’essenza fissa, ma un processo continuo e che il cambiamento, per quanto doloroso, può essere l’inizio di qualcosa di nuovo.

I margini sociali: figure liminali tra esclusione e resistenza

L’ultima categoria di figure liminali da trattare va oltre i margini simbolici tra mondi, poiché è stato già illustrato come il folklore possa riproporre in altre forme le stesse fratture esistenti nella società. Le figure liminali, cioè, spesso nascono come proiezioni delle persone escluse dalla società, veri e propri reietti che la società giudica come indegni: mendicanti, zingari, eremiti e folli. Questi individui, non conformi alle norme dominanti, vengono investiti di un’aura magica – solitamente, ma non necessariamente, negativa – e collocati ai confini della comunità. Ma proprio perché fuori dall’ordine, possono mettere in discussione l’ordine stesso, soprattutto dal punto di vista morale.

Nella tradizione russa, lo jurodivyj è letteralmente un asceta “pazzo di Dio”, di cui si trova traccia nelle opere del grande Fëdor Dostoevskij. Questo asceta, che vive in povertà e va in giro raccontando verità scomode, così come in molte fiabe europee, è il fratello più stupido o il più giovane dei tre figli – inizialmente deriso – che poi si rivela il più astuto e abile a leggere le situazioni sociali.

Anche i personaggi che vivono “fuori” – nel bosco, in una capanna o sotto un ponte – spesso detengono conoscenze che il “centro” ha dimenticato. Il folklore invita, quindi, a riconoscere il valore delle soglie anche sul piano sociale: ciò che è escluso può essere una risorsa e ciò che è liminale può trasformarsi in rivelazione.

Abitare la soglia e raccontare la complessità

Le figure liminali sono, nel folklore, ciò che più assomiglia alla complessità umana. Non sono né buone né cattive, né dentro né fuori, né morte né vive. Sono spazi di tensione tra mondi e di passaggio tra fasi diverse e proprio per questo restano così affascinanti e potenti: incarnano ciò che la nostra percezione e la nostra esperienza umana, da “semplici” vivi, non ci permette di comprendere fino in fondo.

Attraverso loro, il folklore racconta una verità profonda, e cioè che i confini non sono muri, ma zone fertili e che ciò che sta ai margini non è escluso, ma spesso è la chiave per comprendere il centro. Il potere risiede spesso non nella stabilità, ma nel cambiamento.

In un mondo che tende a dividere, semplificare e polarizzare, le figure liminali ci ricordano la ricchezza dell’ambiguità e ci invitano a guardare con occhi nuovi anche i nostri margini, personali e collettivi, perché è lì, come sempre, che cominciano le storie più potenti.

Francesco Cositore per Questione Civile

Bibliografia

  • Douglas M., Purity and Danger: An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo, Routledge, 1966.
  • Eliade M., Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, 1957.
  • Ginzburg C., I benandanti: stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, 1972.
  • Turner V., The Ritual Process: Structure and Anti-Structure, Aldine de Gruyter, 1969.
  • Van Gennep A., Les rites de passage, E. Nourry, 1909.
  • Warner M., No Go the Bogeyman: Scaring, Lulling, and Making Mock, Chatto & Windus, 1998.

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