Al di là della declinazione maschile del genio: Charline von Heyl e la rumorosità del silenzio
Nel linguaggio della cultura occidentale il termine genio risulta una sentenza a senso univoco: maschile, singolare e mai declinata. Vi è l’assenza nel vocabolario comune della sua declinazione femminile, preferendo piuttosto la formula “donna di genio”. Questo vuoto si configura non per un’assenza di figure femminili dirompenti: a mancare è, di fatti, lo sguardo capace di riconoscerle ed accettarle come tali.
Esempio di questo tipo di genialità, troppo spesso messa in ombra, è ravvisabile nell’artista tedesca Charline von Heyl. Attiva tra Europa e Stati Uniti, rappresenta una figura di genio che non ha la necessità di imporsi: l’artista scava piuttosto nelle complessità del vedere e del pensare, costruendo un’estetica resistente alla semplificazione.
Charline con Heyl: una biografia della contaminazione
Charline von Heyl nasce nel 1960 a Mainz e spende la sua infanzia presso Bonn, figlia di padre avvocato e madre psicologa. L’artista si è formata in Germania, presso la Kunstakademie di Düsseldorf, ove ha studiato con artisti come Fritz Schwegler e Gerhard Richter. Von Heyl ha iniziato la sua carriera artistica negli anni 80’ ma la svolta decisiva nel suo lavoro avviene con il trasferimento negli Stati Uniti. Questa geografia personale, data da attraversamenti e dislocamenti, evoca di per sé una poetica della mobilità e della contaminazione.
A New York, l’artista affina un linguaggio visivo caratterizzato da un uso audace del colore, composizioni stratificate e un incessabile sperimentazione formale. Von Heyl ha rifiutato la narrazione lineare, le sue tele si configurano come cortocircuiti visivi, spazi di collisione tra astrazione e figurazione, memoria e invenzione. Spesso definita astratta, la sua arte sfugge in realtà a categorizzazioni semplici: le sue opere non si limitano a seguire i canoni dell’astrattismo.
L’artista crea dei dipinti che contengono frammenti narrativi, forme che evocano ricordi o sensazioni e rimangono aperte all’interpretazione. Il suo modo di vivere l’arte deriva dunque dall’idea di pittura quale processo di scoperta e trasformazione. Le sue opere sono così dei sistemi autonomi che chiedono allo sguardo di attivarsi verso la ricerca e lo smarrimento.
La sua coerenza silenziosa è, in questo mondo dell’arte condizionato da strategie comunicative e branding autoriale, un atto radicale. Quello di von Heyl è il linguaggio di chi rifiuta l’obbligo di dichiarare, spiegare e rivendicare. Lavorando sul bordo dell’invisibile, dove la pittura è campo di tensione, nelle sue opere è presente una forza generativa che attraversa il tempo. Le sue opere indomabili e la loro indeterminatezza fanno emergere una nuova idea del genio. Non più l’artista assoluto, il demiurgo, bensì una mente che gioca, decostruendo e ricomponendo.
L’assenza della declinazione femminile del genio
L’artista donna viene raccontata nel panorama estetico contemporaneo come un’eccezione, celebrata in quanto donna o marginalizzata. Vengono così celebrate artiste solo per l’appartenenza di genere e marginalizzate quando fuori dai modelli dominanti di narratività culturale. L’autonomia radicale è la strada che sceglie von Heyl per discostarsi da tali schematismi sociali. Pratica il gioco dell’arte come pensiero in azione, senza ricondurre il suo lavoro a un’estetica femminile né l’imitazione delle formule del successo maschile.
Sorda alle mode, la sua traiettoria artistica non può non rimodulare il concetto di genialità. Il genio, come concepito sino ad ora ha forse bisogno di una rivoluzione semantica. Acquista importanza l’ascolto di ciò che, per troppo tempo, è rimasto fuori dal discorso dominante. Charline von Heyl è considerabile una figura emblematica del genio silenzioso, concetto in contrasto alla tradizionale immagine del genio artistico come figura eroica e maschile.
A livello storico, il genio, vede la sua declinazione per lo più al maschile. Visione spesso accompagnata dall’idea di un talento innato, quasi divino, che trascende le circostanze sociali o culturali. Quello di von Heyl è, invece, un genio silenzioso: non tenta di imporre la sua verità. È una forma di genio che si manifesta nella capacità di creare spazi visivi completi, stratificati, aperti. Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, Hilma af Klint, sono alcuni esempi di talenti riscoperti dopo secoli di oblio. Tali figure sono anche la testimonianza di come il sistema culturale e sociale ha spesso ignorato o minimizzato i contributi di questi geni femminili.
Il caso di von Heyl è così una risposta potente a questa tradizione di esclusione. Nonostante l’artista tedesca abbia ricevuto un riconoscimento internazionale e sia stata esposta in prestigiosi musei, rimase impegnata nel suo lavoro al di fuori delle etichette. Il suo lavoro disdegna e capovolge le aspettative sociali imposte alle artiste donne.
Il genio silenzioso e sovversivo di Charlene von Heyl
Charlene von Heyl con la sua produzione artistica ci rammenda che l’arte non deve essere limitata, confinata in categorie o gerarchie prestabilite. L’arte deve essere un luogo di libertà e sperimentazione. L’artista tedesca ci insegna che il genio non ha bisogno di imporsi con forza e arroganza. Il vero genio crea spazi per la riflessione, per l’immaginazione e per il dialogo. Nel mondo dell’arte, ancora tristemente intriso di narrazioni patriarcali, la sua assenza di compromessi pone von Heyl fuori dalle categorie canoniche. La sua produzione è una forma di pensiero: che si articola in superfici, in gesti, strati e ritmi. È un’artista che lascia spazio alle opere perché possano parlare da sé, senza aver bisogno di circondarle di retorica.
L’atto che compie von Heyl è un atto di spostamento. Con lei non è più il chi ad essere sotto i riflettori, bensì il cosa. Oggi trattando del genio al femminile ci si muove in un terreno liminale e fragile. Il termine, con la sua storia estetica, è stato caricato di un immaginario che esclude ciò che è relazione, ascolto, cura. Per riuscire a far sopravvivere il termine genio alle nostre gerarchiche categorizzazioni sociali, dovremmo svuotarlo. La parola dovrebbe essere svuotata dai pregiudizi e poi riempita di nuove presenze, iniziando a riconoscere l’essenza sovversiva incanalata nel silenzio.
Charlene von Heyl ci ricorda l’importanza di continuare a lottare per l’uguaglianza e il riconoscimento delle artiste donne. La sua nuova ridefinizione dell’astrattismo ci invita, con discrezione e tenacia, a riflettere sulle parole con cui nominiamo l’eccellenza. Il suo genio sta nella capacità di costruire un cosmo visivo inedito. Un cosmo che non è orientato alla ricerca delle legittimazioni teoriche né alle rivendicazioni ideologiche. Von Heyl con il suo mondo ci pone dinnanzi ad una ridefinizione non solo dell’arte ma della stessa figura dell’artista.
Maria Domenica Ferlazzo per Questione Civile
Sitografia:
- www.labiennale.org
- www.petzel.com
- evenmagazine.com