Charlie Kirk vittima della “cultura del nemico” e “martire per la libertà”
Charlie Kirk, 31 anni, era un attivista conservatore statunitense di spicco. A soli 18 anni ha fondato Turning Point USA, un’organizzazione politica giovanile che promuoveva valori conservatori nelle università americane. Kirk è cresciuto come una figura emergente all’interno della destra trumpiana, noto per le sue posizioni fortemente ultraconservatrici e per la sua influenza sui giovani elettori. Il 10 settembre 2025 è stato barbaramente assassinato in un campus universitario dello Utah, lasciando moglie e due figli piccoli, lì dove il dibattito e la libertà di pensiero e di espressione dovrebbero essere tutelati e garantiti.
Charlie Kirk ha avuto un ruolo cruciale nel mobilitare la gioventù conservatrice in questi anni di attivismo politico, costruendo un’organizzazione che ha raggiunto centinaia di migliaia di iscritti e decine di milioni di follower sui social, a testimonianza della sua vasta influenza. Turning Point USA è stato un veicolo per mobilitare studenti universitari e giovani elettori a favore del Partito Repubblicano e in particolare di Donald Trump, contribuendo a ribaltare stati chiave come l’Arizona nelle elezioni recenti.
Attraverso podcast, tour universitari e una presenza massiccia sui social media, Kirk ha fatto della lotta contro il progressismo accademico il suo cavallo di battaglia, contrapponendo spesso visioni critiche verso alcune posizioni della comunità LGBTQ+, ribadendo i ruoli di genere tradizionali, e visioni critiche verso l’immigrazione clandestina, che gli sono valse accuse di estremismo, razzismo, omofobia e sessismo. Kirk promuoveva teorie controverse come quella della “grande sostituzione”, promuoveva posizioni antiabortiste, nonché posizioni discutibili sul ruolo della donna. Queste posizioni lo hanno reso figura estremamente polarizzante nel panorama politico statunitense, anche all’interno delle stesse forze conservatrici.
L’omicidio di Charlie Kirk e le conseguenze politiche
Il 10 settembre 2025, durante un intervento presso la Utah Valley University, Kirk è stato mortalmente ucciso da un colpo di arma da fuoco esploso da un cecchino posizionato a distanza. La notizia ha scosso profondamente il Paese. La sua morte è stata definita da molti come un attacco politico mirato. Il presidente Donald Trump, intervenuto al suo memoriale tenutosi il 21 settembre 2025 allo State Farm Stadium di Glendale, in Arizona, ha definito Kirk un “martire per la libertà americana” e un “eroe”. Nel suo discorso, Trump ha espresso odio verso gli avversari politici, mentre ha ricordato Kirk come uno che “voleva il meglio per i suoi avversari” senza odio.
Il memoriale e i funerali di Charlie Kirk hanno visto oltre 200.000 persone presenti, inclusi importanti leader repubblicani e figure del dibattito politico americano. La moglie di Charlie Kirk, Erika Lane Kirk, ha tenuto un discorso in cui ha parlato di perdono verso l’assassino, richiamandosi alla forte fede cristiana cattolica che ha caratterizzato la coppia: “Io lo perdono, perché è quello che ha fatto Cristo, ed è quello che avrebbe fatto Charlie”, ha affermato. Il suo messaggio di riconciliazione e fede si è distinto fra i toni più aspri e conflittuali del mondo politico conservatore.
Il funerale ha messo in risalto le trasformazioni interne al movimento “MAGA” (Make America Great Again) e alla destra americana. Con la sua morte, Turning Point USA ha affidato a Erika Lane Kirk la guida dell’organizzazione, che ha annunciato la continuazione del lavoro e della missione del marito Charlie per rafforzare la mobilitazione giovanile conservatrice. Il memoriale è stato anche occasione per lanciare un messaggio di unità, resistenza contro le forze “avversarie” e rilancio della mobilitazione politica su scala nazionale, di fatto legittimando la figura di Trump all’interno del partito repubblicano americano.
Conseguenze dell’attentato a Charlie Kirk
L’attentato a Charlie Kirk potrebbe rappresentare una congiuntura storica nel mondo politico americano ed europeo, segnando una cesura netta tra il “prima” ed il “dopo Kirk”: la conseguenza più diretta è una mobilitazione intensa della destra conservatrice americana e un rafforzamento della legittimazione repubblicana della figura di Donald Trump come guida occidentale contro-corrente in antitesi alla “cultura woke” e alle posizioni sostenute dai socialdemocratici.
Negli USA e in Europa molti esponenti politici del mondo liberale e conservatore sostengono che l’omicidio di Charlie Kirk sia la logica e perversa conseguenza di una lunga campagna di demonizzazione e mostrificazione degli avversari politici, frutto inevitabile di una cultura dell’odio radicalizzata e istituzionalizzata. D’altro canto, molti nel mondo progressista e radicale di sinistra hanno preferito esultare per la morte di Kirk e solidarizzare con la “reazione omicida” in quanto risultato spontaneo dell’odio che sarebbe stato propagandato dallo stesso Kirk.

Polarizzazione dell’elettorato
“Se l’è cercata”, “Chi semina odio, raccoglie tempesta”, “Uno in meno”, “È anche colpa sua”, “Nessuna pietà per i fascisti”, “Finalmente”, “Mi spiace, ma…”: questi alcuni dei commenti presenti sui social network che fanno accapponare la pelle non solo perché si tratta di un ragazzo di 31 anni che non ha fatto del male a nessuno e che l’unica cosa di cui si poteva incolpare erano le sue idee politiche, ma questi commenti fanno rabbrividire perché per una parte politica i morti non sono tutti uguali, il valore della vita non è uguale per tutti, il diritto alla vita non è universale ma si tratta di un diritto politico assegnato dall’ideologia di turno.
Per di più, si confermano purtroppo i doppi standard di una certa parte radicale, che prova soddisfazione per la morte di un avversario politico, ma al contempo urla nelle piazze, nelle università e nelle scuole “Free Palestine”, parlando di diritti umani per altri popoli, che, per motivi religiosi e culturali, adottano su certi temi posizioni ancora più estreme di quelle propagandate da Charlie Kirk (ruolo delle donne in società, libertà sessuale, comunità LGBTQIA+, aborto, razzismo, ecc.). Pare evidente che il filtro adottato per condividere certe posizioni non sia il buon senso ma la strumentalizzazione politica.
Cultura dell’odio in Occidente
Negli ultimi anni, si è assistito a un aumento preoccupante di campagne diffamatorie, occupazioni di suolo pubblico, manifestazioni in istituti scolastici e universitari, violenze verbali e psicologiche, controinformazione verso partiti e figure mal digerite, aggressioni fisiche, minacce e atti vandalici da parte di frange politiche estreme.
La realtà è che si sta avviando un processo di radicalizzazione della politica e questo sta avvenendo negli Stati Uniti, così come in Europa e in Italia. Qualche intellettuale da salotto potrebbe affermare che siano “naturali reazioni” al crescente e dilagante populismo nazionalista in Occidente, “che si espande come un cancro”. Ma la realtà è che i populismi di destra e di sinistra (costituzionalmente intesi), pur partendo da idee forti, opinabili e da approcci demagogici e discutibili, non hanno mai superato il sacro confine dello “scontro ideologico”.
Due schieramenti
Queste forme di violenza negli ultimi anni sono strettamente collegate a due famiglie di militanti: da una parte quelli che si autodefiniscono “progressisti” e “democratici”, sbandieratori del revisionismo storico rosso, arroganti e fanatici; dall’altra quelli che vanno fieri della propria appartenenza gerarchica, quasi “tribale”, a gruppi di estrema destra, sfociando nel macismo tossico, intolleranti verso la visione liberale dello Stato e delle istituzioni e dotati di cultura politica estremamente parziale.
La questione è molto più complessa di ciò che sembra, poiché il fenomeno del populismo di destra che dilaga in Europa così come negli USA è certamente strettamente legato alle nuove forme di radicalismo politico di sinistra che stanno emergendo, ma non possono essere in un rapporto di causa-effetto: nulla può giustificare il ricorso alla violenza, alle armi o a forme di pressione sociale estrema. Piuttosto, si sta scivolando in una polarizzazione sempre più estrema del dibattito politico.
Di fronte alla difficoltà di contrastare elettoralmente il dilagante populismo di destra, il rischio è che questi atti violenti non solo siano tollerati dagli esponenti socialdemocratici, ma che, in alcuni casi vengano addirittura avallati per inasprire l’opinione pubblica, cavalcare il malcontento e racimolare qualche punto percentuale in più nei sondaggi.
La violenza come filo rosso della politica degli ultimi anni
Questi fenomeni si manifestano con modalità che vanno dalle occupazioni di luoghi pubblici, alla censura di personaggi non allineati, alle manifestazioni violente, alle aggressioni verbali e fisiche fino a veri e propri attentati, come nel caso di Donald Trump, Melissa Hortman e Charlie Kirk, questi ultimi, purtroppo, sfociati nel più atroce e tragico dei destini.
Questi episodi non sono isolati. Infatti, dal 2023 ad oggi sono accaduti diversi eventi in cui la violenza ha assunto un ruolo preponderante. La cultura dell’odio e del nemico accompagna questi movimenti radicali sia a destra che a sinistra, capaci ormai di giustificare la violenza e considerando la libertà di espressione dell’avversario non come un diritto sacro da proteggere, a fondamento della democrazia occidentale, ma come uno strumento pericoloso che va contrastato con violenza.
I vari episodi
Per esempio, nel 2025 la deputata democratica dello Stato del Minnesota Melissa Hortman è stata assassinata in un momento di crescente violenza politica e polarizzazione nel paese; la repressione violenta di manifestanti a Los Angeles e le proteste contro i rastrellamenti di migranti da parte di milizie paramilitari ICE, che hanno visto l’uso di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e manganelli, con scontri intensi fra manifestanti e forze dell’ordine; e ancora, le proteste universitarie e repressione contro voci filopalestinesi negli USA.
Nel 2023, durante le manifestazioni contro il genocidio a Gaza, sono stati registrati arresti di massa, sanzioni accademiche e violenze da parte di forze di polizia e contromanifestanti; i crimini d’odio contro persone LGBTQIA+, che hanno provocato un clima di intimidazione violenta, specialmente ai danni di persone transgender razzializzate;
Scontri e minacce
Altri episodi da segnalare sono le occupazioni violente di spazi pubblici e privati in Italia, avvenute tra il 2023 e il 2025: gruppi anarchici e di estrema sinistra hanno occupato con la forza numerosi edifici, opponendo resistenza violenta alle forze di polizia; gli scontri violenti in manifestazioni “Antifa” in Italia ed in Europa ovvero manifestazioni di sinistra radicale, che si sono spesso trasformate in scontri con forze dell’ordine e cittadini, con incendi, lancio di oggetti e danni a proprietà pubbliche e private.
Le minacce e aggressioni contro politici di destra e giornalisti negli USA e in Europa: crescono le intimidazioni e gli attacchi, anche fisici, su esponenti politici conservatori e opinionisti, con un clima di unilateralità e chiusura verso il dissenso, oltre che aggressioni e vandalismi a sedi giornalistiche in Italia. Da vedere anche l’aumento di reati contro politici in Germania, con 2.790 casi di violenza fisica o verbale registrati dalla polizia, in crescita rispetto agli anni precedenti.
I movimenti paramilitari negli USA ed in Europa ovvero la nascita di organizzazioni di gruppi radicali paramilitari, che mostra una crescita della militarizzazione delle proteste e dei conflitti politici.
Infine gli scontri avvenuti qualche giorno fa, in Italia, tra gruppi estremisti Pro-Pal e le forze dell’ordine: stazioni devastate e 60 agenti feriti.

La cultura dell’odio e del nemico va fermata
Il ripetersi di questi eventi violenti non è casuale ma frutto di una cultura politica in cui l’avversario è percepito come “nemico” da annientare. Questa visione, presente in alcune frange della sinistra e della destra radicale, è incompatibile con i principi democratici e progressisti o con i principi liberali e conservatori, poiché nega il confronto pacifico e ragionato tra idee diverse e legittima la violenza come strumento di contrasto politico.
Nessuna democrazia può reggere senza un senso del limite, che include il rispetto per le regole, le istituzioni e la persona umana. Ovvio è che la contestazione politica e sociale debba essere vigorosa e determinata, ma deve mantenersi nei confini del rispetto dei diritti e delle libertà altrui. La cultura dell’odio, al contrario, alimenta la frattura sociale e mette in pericolo la coesione democratica.
La libertà di espressione e il rispetto di tutte le idee, anche se sgradite, sono il fondamento della democrazia. Le idee si sconfiggono con altre idee, non con atti di violenza verbale o fisica o con la volontà di porre fine alla vita di un personaggio pubblico. È necessario respingere con forza questo modo di pensare e ribadire che qualsiasi divergenza politica deve essere risolta con strumenti pacifici e civili.
Radicalismo e rischi per l’Occidente
Il complesso di questi fenomeni può essere definito come una nuova ondata di radicalismo che si manifesta attraverso forme di violenza variegate. Non più solo movimentismo o protesta, ma atti violenti sistematici e mirati, che comprendono aggressioni, attentati e intimidazioni volte a destabilizzare le istituzioni democratiche, l’opinione pubblica e la percezione sociale. Questa interpretazione deve essere tenuta a mente per poter sviluppare politiche efficaci di contrasto e prevenzione, che includano strumenti legislativi, interventi culturali e promozione del dialogo civile.
Il radicalismo moderno rappresenta la principale minaccia interna per la sicurezza e la stabilità delle democrazie. In Italia, abbiamo assistito tra la fine degli anni ’60 alla fine degli anni ‘80 il periodo del terrorismo interno, definito “Strategia della tensione”. Inevitabilmente, sorge spontanea la preoccupazione che potremmo scivolare verso un nuovo periodo di tensione avallato dai partiti come leva di legittimazione politica e opposizione “dura”.
Il punto è che siamo in un’epoca molto diversa rispetto a 40 anni fa. Le destabilizzazioni storicamente portano a due esiti: o rafforzano gli esecutivi esistenti o aprono le strade alle sovversioni degli ordinamenti istituzionali preesistenti.
Oggi, la violenza politica è un fenomeno concreto e in crescita, che non può essere minimizzato né giustificato in nome di un presunto “odio legittimo”. Difendere i valori democratici significa anche condannare ogni forma di violenza e riaffermare il primato del confronto e della libertà di espressione, pilastri della democrazia.
Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile
Sitografia
- www.ilfoglio.it
- www.avvenire.it
- www.agi.it
- www.cnn.com
- www.adnkronos.com
- www.la7.it
- www.tgcom24.mediaset.it
- www.spazio50.org
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